Terapia dell’ acne

Personalizzazione della terapia per l’acne

di Susan Sauer

La terapia dell’acne risente delle migliori conoscenze dei fattori genetici, biochimico-ormonali, microbiologici e infiammatori alla base della malattia. Inoltre una farmacologia più attenta agli effetti delle singole formulazioni permette strategie terapeutiche e associazioni in grado di personalizzare la terapia. Senza favorire una pericolosa crescita dell’antibiotico-resistenza

Quanti sono i medici che prescrivendo un antibiotico per la terapia dell’acne si pongono il problema della resistenza batterica? Sicuramente pochi e questo errore non è sempre frutto di superficialità perché fino a qualche anno fa, si pensava che il Propionibacterium acnes, il microorganismo considerato fra i responsabili della patologia, fosse completamente vulnerabile rispetto a tutte gli antibiotici comunemente usati, e che esso fosse incapace di sviluppare una qualsivoglia forma di resistenza. Gli enzimi prodotti da questo batterio, in particolare le lipasi, scindono i trigliceridi del sebo producendo acidi grassi liberi, molecole in grado di causare fenomeni infiammatori e irritativi. Da ciò il facile ricorso a tetracicline, eritromicina, clindamicina, cloramfenicolo, sistemici o topici, a dosi sufficientemente alte e per periodi anche molto lunghi. Il ricorso agli antibiotici aveva la sua motivazione principale nella convinzione che le pustole dell’acneico fossero di natura infettiva, in particolare di origine microbica, e nel riscontro di numerose specie di microorganismi (P. Acnes, P. granulosum, Stafilococcus coagulasi negativo, Malassezia Furfur) nei follicoli sebacei degli acneici.

Qualche anno fa, una rewiev sui diversi modelli di trattamento dell’acne realizzata in Inghilterra, dimostrava che c’erano oltre 35 possibili protocolli terapeutici che prevedevano, da soli o in combinazione con altri farmaci, l’uso di una delle diverse famiglie di antibiotici presenti sul mercato. Come conseguenza di questa diffusione, al contrario e molto prima delle più ottimistiche aspettative, i primi casi isolati di resistenza batterica da parte del P. Acnes furono descritti a partire dagli anni ‘70 in diversi paesi (USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone). In uno di questi primi studi la resistenza alle tetracicline compariva in 14 ceppi di P. Acnes su 73 isolati (19%) e appariva agli occhi dei microbiologi come una inevitabile conseguenza dell’uso indiscriminato di queste molecole (Eady et al. Br J Dermatol 1989). Successivamente sempre più dati si sono andati accumulando fornendo la dimostrazione che la resistenza batterica anche alla eritromicina e a altri antibiotici da parte del P. Acne era in continua crescita arrivando fino al 25-40% di tutti i pazienti acneici trattati (Eady et al. Br J Dermatol 1994). La resistenza si manifestava in maniera crociata anche nei riguardi di un’altra molecola molto utilizzata, la clindamicina, che a sua volta, se usata come prima scelta determinava un aumento dell’incidenza della resistenza alla eritromicina. In dettaglio, il 51% dei soggetti curati con eritromicina orale e il 42% di quelli a cui era stata prescritta clindamicina topica mostravano ceppi di P. Acnes resistenti alla eritromicina, a fronte di un 3% del gruppo di controllo non trattato. Gli stessi autori, hanno infine dimostrato che i microorganismi diventano resistenti sia alle forme topiche che sistemiche dell’eritromicina (Eady et al. Br J Dermatol 1996).

Secondo il dott. James Leyden, dermatologo della University of Pennsylvania School of Medicine, un paziente affetto da acne su quattro presenterebbe colonie di P. Acnes resistenti sia alle tetracicline, all’eritromicina e alla clindamicina e meno sensibili del passato alla minociclina e alla doxiciclina e probabilmente questo fenomeno si accompagna in cure di lunga durata a disturbi gastrointestinali, candidosi vaginali, onicolisi, fotosensibilita’, eruzioni cutanee e a un più alto fallimento dei trattamenti. è quest’ultimo punto quello che maggiormente interessa dal punto di vista clinico e che deve ancora trovare un’adeguata spiegazione. Il quesito è il seguente: che influenza ha sull’andamento della malattia l’aumentata resistenza batterica agli antibiotici?Partiamo con il dire che non tutti gli acneici trattati con antibiotici vanno incontro a un miglioramento. Secondo alcuni dati, circa il 10% non risponde alla terapia o mostra una ricaduta durante il corso della cura. Ci sono almeno quattro possibili spiegazioni per una risposta inadeguata: una velocita’ di escrezione del sebo talmente alta (+ 2.5/microG/cm2/min) che gli antibiotici vengono eliminati attraverso la ghiandola sebacea prima che all’interno del dotto si raggiunga una concentrazione attiva sul P. Acnes; una follicolite da germi gram-negativi (Klebsiella, E. Coli, Pseudomonas, Proteus); una compliance insufficiente o una resistenza da parte del P. Acnes agli antibiotici. Gli ultimi due fattori sono strettamente interrelati perché, come si sa, una grande causa dell’insorgere della resistenza consiste proprio in una carente regolarita’ nell’assunzione del farmaco. Ricerche su base genetica hanno messo in luce l’esistenza di numerosi geni capaci di attivare la resistenza batterica nei riguardi dei macrolidi e dei lincosamidi, e si sta tentando di clonare questi frammenti di DNA in altri batteri e comprendere il meccanismo della mutazione genetica responsabile della resistenza.Si sospetta che due possano essere i meccanismi coinvolti nel P. Acnes per la resistenza crociata fra eritromicina e clindamicina: una mutazione nel gene che trascrive il 23S rRNA o l’acquisizione di un gene erm mobile (erythromycin ribosomal methylase), capace d’indurre la resistenza, direttamente da una specie batterica molto vicina.
Meccanismi analoghi sarebbero responsabili per la resistenza alle tetracicline e alla minociclina. Di fronte a un inefficace effetto dell’antibiotico scelto, il medico spesso ricorre a una dose maggiore di farmaco o a un’altra famiglia di antibiotici e in tal modo, secondo i maggiori esperti, spesso contribuisce a potenziare e diffondere la resistenza all’interno della popolazione dei malati. Che conclusioni trarre da questi allarmi secondo i quali nell’arco di dieci anni il numero dei casi di soggetti con acne caratterizzati da una resistenza agli antibiotici potrebbe essere tale da far considerare questi farmaci come potenzialmente inutili? Primo, tenere sempre presente che l’origine della malattia è multifattoriale, di ordine genetico, biochimico-ormonale, strutturale, batterico e infiammatorio e che le conseguenze sul piano clinico di queste diverse fasi patogenetiche si manifestano in lesioni cutanee polimorfe: comedoni aperti e chiusi, papule, pustole, noduli e cisti sebacee, che in rapporto al tipo di lesione predominante determinano le tre forme classiche di acne comedonica o punctata, la papulo-pustolosa e la nodulo-cistica.

L’antibioticoterapia dovrebbe essere presa in considerazione in particolare nei casi di acne infiammatoria moderata e grave, mentre più in generale la scelta del trattamento deve sempre tener presente gli altri possibili approcci terapeutici e gli effetti che i farmaci a oggi disponibili, topici o sistemici, hanno sull’ipercheratinizzazione del follicolo, sull’iperplasia della ghiandola sebacea e la seborrea, sull’ipercolonizzazione microbica oltre che sull’infiammazione. Ricorrere in maniera indiscriminata e massiccia agli antibiotici, topici e soprattutto sistemici, può non rivelarsi quindi sempre la soluzione ottimale oltre a essere fonte di effetti indesiderati, interferenze farmacologiche e resistenza batterica. Meglio allora nell’ambito di una strategia terapeutica personalizzata, adattata dal dermatologo allo stato clinico di ciascun paziente, sfruttare la specificità di ogni principio farmacologico associando fra loro i vari prodotti, potenziandone la sinergia o preferendo l’alternativa con meno effetti indesiderati, e ove necessario utilizzando gli antibiotici solo per il tempo strettamente richiesto e a dosi sicuramente efficaci. Va poi ricordato che esistono formulazioni topiche sempre più efficaci, tollerabili e gradevoli cosmeticamente che facilitano la compliance e favoriscono l’istaurarsi di un rapporto medico-paziente più soddisfacente e più attento, oltre che alla componente medico-clinica, anche a quella più strettamente psicologica e estetica.