Dermatite atopica

La complessità e i quesiti ancora irrisolti sulla etiopatogenesi della dermatite atopica fanno emergere la necessita’ di schemi interpretativi che ne facilitino la comprensione e la cura. I francesi propongono l’ipotesi di un meccanismo di automantenimento che a partire da cause primarie scatena altre cause secondarie le quali, a loro volta, rinforzano e potenziano le prime. Un ciclo che determinerebbe l’esacerbarsi della sintomatologia e che la terapia deve provare a interrompere

In medicina ci sono tante malattie di cui ancora non si conosce né l’origine né la terapia definitiva. Molte sono estremamente rare, altre invece hanno una diffusione così estesa che la loro importanza determina notevoli investimenti in ricerca. è il caso della dermatite atopica, che, a seconda delle ricerche epidemiologiche svolte in diversi Paesi, colpisce fra il 5 e il 20% della popolazione infantile mondiale e che, come l’asma, ha visto nel corso degli ultimi 30 anni un aumento pari a due-tre volte il numero dei soggetti colpiti. A descrivere per la prima volta questa patologia furono nel 1923 due scienziati, Coca e Cooke, che scelsero appositamente la parola atopia per indicarne la stranezza di manifestazione e di decorso. Studi sui meccanismi cellulari e molecolari della malattia hanno aperto spiragli sulla comprensione della sua etiopatogenesi, ma, per esempio, ancora poco di definitivo si sa sulla componente genetica che ne determina la predisposizione (forse il cromosoma 11), sul fattore scatenante la prima manifestazione e finanche se la predisposizione genetica è un necessario pre-requisito per l’apparire della sintomatologia clinica. Per continuare nella lista delle cose ancora da chiarire, ci sarebbe da spiegare perché alcuni casi vanno incontro a ricadute o perché le lesioni di alcuni bambini guariscono e quelle di altri, no. E ancora, perché solo alcuni soggetti sviluppano l’asma e, in termini prognostici, quali sono i fattori che possono far prevedere se l’andamento della malattia risentirà positivamente di un intervento terapeutico o di un altro.

Ma non è tutto così nero. Grazie a indagini epidemiologiche si sono potute recentemente identificare molte di quelle condizioni ambientali che agiscono da fattori di rischio, come l’acqua corrente ricca di calcio, o ridimensionare quegli aspetti che per decenni erano stati considerati cause scatenanti e unici responsabili, come alcuni particolari alimenti.
Oggi, anche se ai fini terapeutici aiuta limitatamente, non è errato dire che la dermatite atopica è una malattia multifattoriale determinata da cause intrinseche e estrinseche: quali allergeni alimentari, ambientali, pollini, residui animali, allergeni microbici e micotici. Più importanza pratica può rivelarsi la conoscenza delle anomalie di tipo biochimico, fisiologico e immunologico che si verificano nelle varie fasi della malattia. è il caso del ruolo svolto dai lipidi nella barriera dello strato corneo, il suo rapporto con la ritenzione di acqua e i difetti di permeabilità che determinano l’aumento della secchezza cutanea tipica della pelle atopica.
Rilevante può essere l’aver identificato un’altra alterazione lipidica, cui si attribuisce uno specifico ruolo patogenetico, nel deficit dell’attività dell’enzima delta-6-reduttasi, capace di giustificare l’aumento che si registra, nel plasma dei bambini o dei malati adulti, del tasso di acido linoleico e la riduzione dei suoi metaboliti.

dermatite atopicaE’ noto infatti che, come conseguenza di ciò, si assiste a una maggior degranulazione del mastocita e dei basofili, a una minor produzione di AMP ciclico e a un deficit della sintesi di PGE1, a sua volta responsabile di un calo dell’immunità cellulare con anomalie del livello di IgE e aumento di alcuni mediatori pro-infiammatori (LTB4 e PGE2). La ricerca, si dice, avanza a piccoli passi e in questo caso ogni tassello è utile per chiarire quello che costituisce un vero puzzle etio-patogenetico la cui semplificazione appare, al medico pratico, tanto necessaria quanto impossibile.

Può valere da esempio quanto sta succedendo in Francia dove, da qualche tempo, si è affermato un concetto che schematicamente viene definito “il ciclo di automantenimento dell’atopia”. Descritto per la prima volta nel giugno 1999 da un gruppo di dermatologi pediatri, esso tenta di chiarire il modo in cui, durante le varie fasi della malattia, le cause primarie dell’affezione (genetiche, difetti della funzione di barriera, deficit immunitari) conducono all’insorgere di condizioni secondarie quali infiammazione, prurito e infezione. Queste, a loro volta, a causa di comportamenti spesso sbagliati del paziente (p.e. grattamento, bagni troppo caldi, saponi aggressivi, coabitazione con animali, abbigliamenti irritanti, ecc.) portano all’esacerbazione delle cause primarie, innescando un ciclo che non solo aggrava i sintomi clinici, ma li prolunga nel tempo, rendendoli quasi autonomi rispetto alle influenze e ai trattamenti esterni.

Questo approccio è certamente di natura riduttiva rispetto alla complessita’ dei fenomeni che si verificano a livello ematico, secretorio, immuno-biochimico e farmacologico. Tuttavia ha il pregio di fornire al paziente e alla sua famiglia una chiave di lettura , dinamica e più comprensibile, dell’evoluzione della malattia aiutando anche il terapeuta a ricorrere alle diverse opzioni che gli si offrono nei vai periodi di vita del paziente. Cosi’, quando le lesioni sono principalmente di natura eritemato-essudative, durante il periodo che va dalla nascita al II anno di vita, e la sintomatologia è caratterizzata da irrequietezza psicomotoria, irritabilita’, insonnia, prurito intenso, l’approccio terapeutico sara’ finalizzato a ristabilire l’equilibrio e la funzione barriera della cute, impedendo in qualsiasi modo il grattamento e lo strofinio del viso sul cuscino.

Necessari i bagni con acqua non troppo calda perché allontanano i microbi e preparano la cute alle medicazioni topiche. Rischioso per i neonati di famiglie con storie di atopia, l’uso di latte vaccino e di capi di abbigliamento in lana o tessuto sintetico. Dopo il II anno di vita, le lesioni appaiono eritematose ma meno infiammate e tendono alla lichenizzazione come conseguenza dell’intenso grattamento. Anche in questo caso è fondamentale impedire la colonizzazione della cute da parte dei piogeni, in particolare dello stafilococco aureo, e ridurre il rilascio dei mediatori che sono causa del prurito da parte delle mastcellule e dei basofili. Sulle lichenificazioni sono attivi i corticosteroidi, ma più in generale si deve ridurre la disidratazione cutanea di cui normalmente soffre il paziente atopico. Il prurito notturno è il sintomo più grave nella dermatite atopica dell’adolescente e dell’adulto mentre le lesioni sono per lo più a carattere eritematoso- infiltrativo e possono essere ricoperte di squame, croste e lichenificazione.Il polimorfismo delle lesioni non è dovuto solo alla contemporanea presenza delle lesioni tipiche delle varie fasi evolutive, ma anche alla associazione di quadri clinici diversi come l’eczema nummulare e la disidrosi delle mani. Per ridurre il ciclo di automantenimento proposto dagli A.A. francesi, bisogna eliminare il contatto con sostanze chimiche e saponi che aggravano il deficit della funzione barriera della cute, cui segue una maggiore suscettibilita’ verso gli agenti irritanti. Vanno evitate anche le condizioni in cui si verificano: un aumento della sudorazione, brusche variazioni climatiche e la presenza di animali domestici. Con una particolare attenzione, inoltre, si possono prevenire le reazioni da ipersensibilità immediata ai farmaci e la non rara urticaria provocata dal contatto con frutta, vegetali, agrumi, pesce, carne, formaggi, ecc.Alla classica cura con i corticosteroidi, antiistaminici, antibiotici, o con altri mezzi terapeutici di recente proposti (ciclosporina, ketaconazolo, tacrolimus ecc.) vanno quindi sempre aggiunti prodotti in grado di riequilibrare il deficit lipidico, di ripristinare la funzione barriera e l’idratazione cutanea (L.Z.)