di Giorgio Maggiore
Organizzato dall’Istituto San Gallicano e dall’Ufficio Nazionale C.E.I., sotto il Patronato del Presidente della Repubblica,si è svolto a Roma un Workshop Internazionale su un tema di grande attualita’
Secondo gli ultimi dati ufficiali della Caritas (2002) e dell’Istat (2001), al 31 dicembre del 2001 in Italia risultavano presenti circa un milone e mezzo di immigrati, di cui il 45,8% è di sesso femminile. Il fenomeno dell’immigrazione, che provoca lo spostamento di milioni di persone dalle aree meridionali del mondo verso i paesi più ricchi del nord, alla ricerca di un futuro migliore per se stessi e per i propri figli, ha prodotto cambiamenti culturali e sociali, con effetti notevoli anche dal punto di vista medico. Malattie come la tubercolosi, la malaria, la lebbra e le dermatosi tropicali finora considerate scomparse nei paesi industrializzati, stanno ricomparendo. La nuova legge sull’immigrazione, la cosiddetta legge Bossi-Fini, contrassegnata dal numero 189/02, nonostante i grandi timori messi in mostra dalle associazioni che si occupano del fenomeno, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria non ha modificato la precedente normativa del 1998 (vedi box). Questo è quanto emerso dal 9° Workshop Internazionale, Cultura, salute e migrazione, organizzato dall’Istituto San Gallicano e dall’Ufficio Nazionale C.E.I., sotto il Patronato del Presidente della Repubblica, svoltosi recentemente presso il C.N.R. di Roma. Per capirci di più di questo tema, estremamente complesso, abbiamo chiesto aiuto al Prof. Aldo Morrone, medico, specialista in Dermatologia e Venerologia, indiscussa autorita’ internazionale nello studio dei rapporti fra salute, migrazione e ambiente, che nel lontano 1983 riusci’ ad aprire, il primo ambulatorio medico pubblico all’interno dell’Ospedale San Gallicano di Roma, dedicato allo studio e alla cura dei pazienti immigrati clandestinamente in Italia. Attualmente è responsabile del Servizio di Medicina Preventiva delle migrazioni, del turismo e di Dermatologia Tropicale dello stesso ospedale romano e, in quanto tale, anima e organizzatore del convegno romano.
Cominciamo con una prima domanda: perché una struttura dermatologica ad occuparsi di questi temi?
“La nostra specialita’ è sempre stata molto attenta ai pazienti delle regioni tropicali tanto da annoverare una branca che era chiamata anche dermatologia coloniale. Oggi si preferisce far ricorso alle dizioni, dermatologia tropica, d’importazione internazionale o ancora, dermatologia delle popolazioni migranti, collegandola ai rischi di diffusione di dermatosi rare, o di particolare gravita’, in seguito ai grandi spostamenti di masse di popolazioni, turistiche, lavorative o di immigrati, rifugiati, esuli, quelli che l’O.M.S. definisce Human Mobile Population. La maggior parte delle dermopatie presenta un’aumentata prevalenza e incidenza nelle regioni tropicali, a causa delle condizioni climatiche e di poverta’ socio-economica, per la mancanza di igiene pubblica e personale, per la difficoltà di accesso all’acqua, per lo stato di denutrizione e le condizioni ecoambientali. L’aumento del turismo di massa e il fenomeno immigratorio che vede milioni di persone fuggire dal sud del mondo, hanno eliminato, di fatto, quei confini geografico-sanitari che una volta caratterizzavano le grandi malattie. I virus, i batteri e i miceti, non sembrano più rinchiudersi in confini precisi e stanno diffondendosi in territori da cui sembravano sconfitti per sempre. I Servizi di dermatologia e venerologia sono stati i primi in assoluto in Italia a occuparsi della salute degli immigrati e continuano a rappresentare dei centri di medicina preventiva di notevole importanza, nell’assistenza e nello studio di questi pazienti”.
Ci parli della struttura del San Gallicano e della vostra casistica.
“Sono circa 20 anni che ci occupiamo del tema e nel 1998 la Regione Lazio ci ha riconosciuto Centro di Riferimento e Consulenza regionale per ciò che riguarda la salute degli immigrati. Recentemente, poi, è stato costituito presso di noi il Centro territoriale per gli affetti dal morbo di Hansen, la lebbra, e dallo scorso anno siamo stati nominati fra gli otto membri stabili dell’International Centre for Migration and Health dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, poco tempo fa, ci ha premiato come Centro d’eccellenza” da imitare e riproporre negli altri Paesi. Riguardo la nostra casistica, dal 1 gennaio 1985 al 31 dicembre 2001 abbiamo visitato 49.701 persone, prevalentemente immigrati e soprattutto irregolari, ma anche italiani a basso reddito. Negli ultimi cinque anni abbiamo registrato un sensibile aumento delle richieste di tipo sanitario a favore delle donne e dei minori non accompagnati, delle prostitute, dei transessuali e dei senza fissa dimora, ma le condizioni igienico abitative degli immigranti in generale e degli zingari in particolare, risultano sostanzialmente invariate negli ultimi dieci anni, così come le patologie correlate a tali condizioni.
Gli immigrati sono portatori di particolari patologie?
L’immigrato continua a non presentare patologie particolarmente pericolose per la salute pubblica dell’intera collettivita’ nazionale. Si registra un lieve aumento delle patologie di natura tropicale non particolarmente significativo, ma si deve sottolineare l’aumento delle cosiddette malattie da disagio ,malattie da degrado, o della poverta’, e cioè TBC, scabbia, pediculosi, alcune infezioni virali, micotiche e veneree, e l’aumento delle patologie cronico degenerative (ipertensione, diabete, broncopneumopatie cronico ostruttive) e dei tumori. Tale fenomeno è da mettere in relazione soprattutto con l’aumentata percentuale di immigrati anziani e con il più elevato numero di immigrati stabilmente presenti nel nostro paese da oltre 20 anni. Abbiamo inoltre rilevata un’aumentata prevalenza, rispetto alla popolazione italiana, di malattie sessualmente trasmesse e AIDS, e ciò perché molti immigrati, specie se irregolari, non si rivolgono precocemente ai servizi sanitari per paura di provvedimenti d’espulsione.
Quali altri problemi riscontrate in questa popolazione di pazienti?
C’è sempre una maggiore richiesta di assistenza e informazioni di tipo sociale e di assistenza legale soprattutto per quanto riguarda i rifugiati, spesso vittima di tortura nel loro paese. Inoltre esistono specifiche problematiche che vanno prese in considerazione da noi medici. Alcuni studi condotti in Francia, ma anche, se in misura ridotta, in Italia, confermano la presenza di maggiori rischi ed esiti negativi alla nascita e di difficoltà nell’assistenza ricevuta dalle donne straniere in gravidanza. Solo nel Lazio nel periodo 1992 – 96 il numero di nati morti in caso di madre straniera è stato pari a 7,4 ogni 1.000 nati vivi, rispetto a 3,5 tra le italiane. 9,3 i morti entro i primi 28 giorni di vita ogni 1.000 nati vivi a fronte dei 4,4 tra le donne italiane. Gravi sembrano essere le carenze di informazioni da parte delle donne straniere rispetto alle opportunita’ medico-assistenziali e, più in generale, di supporti psico-sociale offerti dalle strutture pubbliche. I fenomeni migratori hanno, inoltre, messo in evidenza pratiche e abitudini precedentemente poco conosciute da noi. Penso alla Mutilazione genitale Femminile, altresi’ nota come circoncisione femminile, un termine che comprende numerose e diverse pratiche rituali tradizionali che è una vera forma di violenza contro la ragazza o la bambina, che influenzera’ la sua vita futura come donna adulta. Una pratica illegale e penalmente perseguibile non solo in Italia ma anche in altri numerosi paesi e che non trova una giustificazione religiosa nè nella Bibbia nè nel Corano.
Nel vostro Istituto avete osservato molti casi di mutilazione sessuale?
In 20 anni abbiamo individuati 237 casi in donne provenienti da 13 paesi diversi, in ordine di frequenza, Somalia, Egitto, Etiopia, Eritrea, Nigeria, Sudan, Chad, Mali, Burkina Faso, Sierra Leone, Repubblica Centro Africana, Camerun e Niger. Quasi tutte avevano subito la mutilazione nel loro paese, al momento della nascita o durante la primissima infanzia, ma ultimamente ci sono stati tre casi di donne nate in Italia, due l’hanno subita nel paese d’origine della madre, una in Germania. La prevenzione della mutilazione genitale femminile dovrebbe essere integrata con una politica sanitaria nazionale più ampia e anche i medici occidentali dovrebbero svolgere un ruolo per informare e impedirla.
Avete dati relativi al fenomeno della prostituzione?
C’è un traffico di esseri umani che riguarda soprattutto donne e bambini vittime di un sistema mafioso internazionale che lucra sullo sfruttamento sessuale. Le donne trafficate, avviate alla prostituzione, sarebbero 500mila nell’Europa occidentale. In Italia si calcola che ve ne siano circa 50mila, un terzo sono minorenni e solo il 50% delle prostitute sono consapevoli, al momento dell’ingresso in Italia, di essere destinate a questo mercato. Dal 1° gennaio 1997 al 1° aprile 2002 abbiamo effettuato 3.437 prime visite su prostitute straniere provenienti soprattutto da Nigeria (13,9%), Albania (13,1%), Moldavia (12,2%), Ucraina (11%), Bosnia (10,1%), Russia (9%). Il 98% era entrato in Italia in maniera clandestina o con un visto di soggiorno turistico poi scaduto e mai più rinnovato. Molte sapevano che avrebbero dovuto prostituirsi per risarcire il debito contratto al momento della partenza. Tante, specie fra le albanesi e le nigeriane, sono minorenni. I principali problemi clinici che riscontriamo sono di natura psicologica e in minor misura di tipo psichiatrico. Nel 98,3% dei casi c’è stata una precedente interruzione volontaria di una gravidanza, mentre i principali quadri clinici osservati sono state le mutilazioni genitali, le uretriti-cistiti aspecifiche, le ustioni, le uretriti non gonococciche, i cheloidi, i condilomi acuminati, l’herpes genitale, le infezioni da HIV e AIDS, le uretriti gonococciche, le epatite virali. Alcuni i casi di sifilide in corso o pregressa. Presso il San Gallicano esiste un Osservatorio clinico epidemiologico sulle condizioni sanitarie dei senza fissa dimora. In che consiste? In collaborazione con l’Assessorato alla promozione della salute del Comune di Roma siamo inseriti all’interno di una rete di servizi e interventi rivolti al recupero della cittadinanza per le persone in stato di poverta’ estrema. La condizione di senza fissa dimora si associa spesso a un’alta esposizione a fattori di rischio nocivi per la salute, traumi, incidenti, violenze, malattie, cui corrisponde un’insufficiente accesso all’assistenza sanitaria e un’alta mortalita’. Dal gennaio 1999 al 31 ottobre 2002 abbiamo seguito 3.162 persone senza fissa dimora, 842 donne e 2.320 uomini, di cui 178 nomadi e 305 profughi. Solo il 31,9% di questa popolazione è italiana, il 42% viene da paesi europei non appartenenti alla UE, il 15% dall’Africa e il 5,4% dall’Asia. Quella economica è la causa più comune (61%), seguita dall’alcoolismo (5,5%), da malattie mentali o disagio psicologico (10,1%) e tossicodipendenza (9%). In media il 45% ha subito ricoveri e l’analisi dei dati evidenzia una significativa positività dell’epatite virale. Le malattie dell’apparato digerente, le patologie psichiatriche, le malattie infettive, quelle della pelle e del sistema genito-urinario, oltre alle malattie respiratorie, dell’apparato circolatorio e i traumatismi sono le patologie più frequenti. Un quadro molto preoccupante. Ma dall’alto della sua esperienza, quali sono i suoi suggerimenti alle Istituzioni? Generalmente gli immigranti e i senza fissa dimora non mettono in atto strategie preventive, ma si rivolgono ai servizi socio-sanitari solo in caso di urgenza o di malattia conclamata, quando cioè non possono farne a meno e questo complica notevolmente la diagnosi, la terapia e la prognosi. Le prime manifestazioni patologiche che si presentano negli immigrati e che li spingono a rivolgersi ai servizi sono lesioni cutanee e veneree. Questa è un’opportunita’ per i dermatologi e per le ASL che dovrebbero istituire dei servizi ad hoc per curare e studiare pazienti che altrimenti non potrebbero accedere al S.S.N. cosa che invece la legge prevede anche per gli irregolari. Mentre le regioni sono tenute a rimborsare le prestazioni effettuate.
La nuova legge 189/02 e l’assistenza sanitaria La legge Fini-Bossi ha lasciato inalterata la normativa prevista dal T.U. n.286 del 1998 pertanto restano in vigore:
le disposizioni di carattere umanitario (artticoli 18, 19, 20)
le disposizioni per ingresso in caso particolare (art.27); vengono aggiunti i casi degli infermieri e dei partecipanti ad attivita’ sportive
le disposizioni per il diritto all’unita’ familiare e alla tutela dei minori (art.29 – 33) con alcune modifiche per il ricongiungimento di parenti entro il 3° grado e i genitori che abbiano altre fonti di sostentamento (abrogati).
le disposizioni in materia sanitaria (art. 34, 35, 36)
le dipsosizioni sull’assistenza sociale (art.41) Resta altresi’ in vigore anche il comma 2 art.12 “non costituiscono reato le attivita’ di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti di stranieri in condizioni di bisogno, comunque presenti nel territorio dello Stato.