
Perchè “l’homo sapiens” perse i suoi peli è una questione che fa ancora discutere gli antropologi. Il mistero è ancora più fitto perché, al contrario del principio generale dell’evoluzionismo, il fatto non sembra fornire alcun grande vantaggio alla specie umana. Al contrario si immagina che la permanenza dei capelli sia dovuta non tanto alla protezione e al caldo che sono sufficientemente garantiti dal grasso sottocutaneo, ma a due funzioni fondamentali, una di natura estetica l’altra comunicativa che nel corso del tempo si sono andate sviluppando.
Cosi’, mentre non ci è dato sapere che cosa pensasse l’uomo preistorico nel vedere il proprio pelo cadere, oggi siamo in grado di valutare al meglio le reazioni di quelle persone che in giovane età si accorgono che la propria chioma si sta diradando, e ogni giorno che passa, centinaia di capelli lo stanno abbandonando per sempre.
E chi meglio del dermatologo è in grado di raccogliere le perplessita’, i timori, lo sconforto, che spesso tale scoperta porta con sè? Partiamo col dire che il problema non è di poco conto anche dal punto di vista numerico. Per esempio, l’alopecia androgenetica, nell’arco complessivo della vita colpisce circa l’80% dei maschi e il 50% delle femmine.
In Italia i soggetti coinvolti sarebbero oltre gli 11 milioni, e almeno 3 milioni di essi sono giovani adulti con un grado di alopecia moderato (II – III della scala Norwood-Hamilton). La maggior parte di questa popolazione vive il problema con un certo disagio psicologico, in particolare gli uomini tra i 20 e i 40 anni, che vivono in un contesto sociale medio-alto, con un lavoro ben retribuito e di tipo manageriale.
Il diradamento dei capelli è particolarmente sentito in quanto sembra interferire con l’autostima e con il gradimento del proprio aspetto fisico. Circa la metà di queste persone trova conferma ai propri dubbi dal barbiere, e spesso inizialmente non cerca un consiglio medico, ma si rivolge al farmacista, al profumiere, ai propri amici. I più disperati chiedono soluzioni ai cosiddetti Centri Tricologici o a altre strutture private non necessariamente mediche. Solo una parte ricorre allo specialista dermatologo che pure ha un ruolo centrale nella terapia della patologia del capello; perché la tricologia è una disciplina medica, e in particolare è una branca della dermatologia. Ed è a partire dalla diagnosi che il ruolo del dermatologo diviene fondamentale. Infatti non tutte le cadute dei capelli sono riferibili alla alopecia androgenetica, esistono forme (A. Areata, da stress, da dieta, da gravidanza, da malattie internistiche ecc.) in cui va individuato il problema specifico e la terapia, se possibile, è solo e esclusivamente causale. Mentre la vera Alopecia Androgenetica è determinata da due fattori ben definiti: gli ormoni androgeni e la predisposizione genetica. Lo specialista, deve perciò per prima cosa stabilire le cause esatte della caduta e solo dopo può consigliare la cura più adatta. Talvolta può bastare raccogliere alcune informazioni dal paziente sulle sue abitudini di vita e sulla famiglia e sottoporlo a una visita accurata per capire se ci sono malattie del cuoio capelluto, per individuare il tipo di capello (normale, secco, grasso), di quale tipo di caduta si tratti e quali siano le zone più colpite. Nei casi meno chiari, si possono effettuare alcuni esami sul capello, in particolare sulla sua struttura (tricogramma), e valutare la presenza di sebo e di forfora. L’occhio clinico del dermatologo può infine osservare bene ogni altro dettaglio ed eventualmente richiedere analisi ematiche specifiche per escludere malattie interne, di carattere ormonale, stati di carenza alimentare, malattie infettive, micosi o eventuali altri disturbi cutanei. La precocita’ e l’accuratezza della diagnosi offrono le migliori garanzie in termini di arresto della caduta. E in caso di alopecia androgenetica il paziente deve essere cosciente che di questo si tratta, perché, nella maggior parte dei casi, nessuno potra’ restituirgli i capelli caduti, ma al massimo si sara’ in grado di conservargli quelli rimasti. E qui veniamo al problema più grande con cui ci si confronta: le aspettative del paziente. Che si aspetta dalla terapia? Quali sono i diversi livelli di soddisfazione per i differenti stati di gravità dell’alopecia? Recenti ricerche di mercato hanno dimostrato che i pazienti con una alopecia avanzata desiderano solo una ricrescita, mentre quelli con una perdita meno sostenuta, possono accontentarsi di una interruzione o un rallentamento della caduta (Cameron E. Montreal, 1998). In generale sembra che ci sia un continuum di livelli di aspettative per tutti gli stadi della malattia. Alcuni individui, qualunque sia la loro condizione, puntano tutto sul risultato massimo, altri si accontentano solamente di non peggiorare. Le aspettative sono state perciò divise in due grandi gruppi: basse e alte. Gli uomini negli stadi II e III della scala di Hamilton con basse aspettative chiedono al medico prevenzione, quelli con aspettative alte, vogliono una ricrescita. E’ questo il gruppo che pone la sfida più impegnativa alla terapia medica. Quasi tutti gli uomini in fase IV e V sognano una ricrescita. A quelli meno esigenti basterebbe vedere qualcosa, per gli altri il risultato deve essere molto netto. E’ evidente allora che a un dermatologo che vuole essere attento al livello di soddisfazione del proprio paziente non può più essere sufficiente la standardizzazione della terapia, ma al contrario, in base all’ampiezza della caduta, all’età del paziente, alla preferenza per una terapia topica o sistemica, alle sue possibilità finanziarie e soprattutto alle aspettative, andra’ disegnato su misura un progetto terapeutico che possa prevedere, in ultima istanza anche un autotrapianto di capelli. Nel rapporto medico-paziente, per ottenere i risultati migliori, va pero’ sempre rafforzato anche l’aspetto informativo: per sfatare quella massa di luoghi comuni che la cultura popolare o un’informazione pubblicitaria interessata possono aver determinato. In particolare al paziente va data una serie di consigli utili sull’igiene, la cura quotidiana dei capelli e, più in generale, sulle abitudini di vita. Perchè la scelta di un buon shampoo, l’astenersi da pratiche cosmetiche aggressive, il ridurre gli insulti provocati dall’inquinamento atmosferico, da una cattiva dieta, dal tabacco o da alcuni farmaci, induce effetti benefici a tutti gli stadi di alopecia. Nei pazienti con le aspettative più alte non bisogna infine mai parlare di ricrescita, ma anzi portarli, pian piano a fissare obiettivi più raggiungibili. Paradossalmente, pero’, lo stesso va detto anche per gli stessi medici che di fronte a una nuova terapia non devono porsi drasticamente il quesito: funziona o non funziona, avendo come parametro solo la ricrescita. La stessa ricerca di mercato già citata, ha infatti dimostrato che per la maggioranza dei medici generici e dei dermatologi il successo terapeutico che può essere considerato valido corrisponderebbe a una nuova ricrescita dei capelli. E’ evidente come in tal modo questi colleghi, trasmettendo essi stessi ai loro pazienti un livello di aspettativa poco concretizzabile, contribuiscano ad aumentare la frustrazione e dimentichino l’importante ruolo che la prevenzione può, in ogni modo, svolgere. Un’ultima avvertenza che potrebbe essere utile non dimenticare: non sottovalutiamo mai il problema del giovane che si rivolge a noi quando ancora i sintomi sono ridotti. Siccome i livelli di soddisfazione sono più alti nelle fasi iniziali dell’alopecia androgenetica, è meglio prenderlo sul serio e intervenire al più presto possibile, con la diagnosi e una cura appropriata. Non prendendolo sufficientemente sul serio, si rischia che a dare una risposta, quasi mai di carattere scientifico e sempre molto cara, ci pensi qualcuno che solo apparentemente è più sensibile di noi. Un qualcuno a cui la legge attuale permette di farsi pagine intere di pubblicita’ e di promettere mari e monti sui giornali più letti dai giovani, quelli che non parlano di malattie ma di sport, spettacoli e videogames.
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