Alghe tossiche

Tutta l’estate a discutere di aumento della temperatura dei mari e di divieti di balneazione.

di Lawrence Bartolomucci

Il tormentone di questa calda e torrida estate non sono state nè un’allegra canzone nè l’avventura sentimentale della modella di grido. A fare la prima pagina di tutti i quotidiani nazionali sono state quest’anno le alghe, definite dai giornali a volte tossiche, altre killer, comunque pericolose per i bagnanti. Dal mare di Fregene, spiaggia laziale cara a Federico Fellini, alla riviera di Levante di Genova o al mare di Palermo e di Bari, la paura ha fatto scattare una serie di divieti di balneazione e tante polemiche a metà fra scienza e politiche ambientali. Sulle spiagge, gli italiani hanno imparato a districarsi fra termini quali tropicalizzazione, mucillagini, specie dermigene e via dicendo. Nel frattempo, diverse Regioni e lo stesso Ministero per l’Ambiente, hanno istituito diverse Commissioni e Unità di Crisi che avrebbero dovuto fare chiarezza sullo stato del nostro mare, ma in diverse occasioni hanno messo in evidenza immancabili conflitti di competenza e tanta confusione fra chi deve preoccuparsi della salute dei cittadini e chi, non meno consapevolmente, teme le negative ricadute economiche che accompagnano un divieto di balneazione sbattuto in prima pagina. Per questo motivo nei più seguiti telegiornali di mezzogiorno è andato in diretta l’imbarazzato bagno del Sindaco di Fiumicino, improvvisato davanti ai fotografi, per smentire la denuncia di elevate concentrazioni di un’alga della specie Gymnodinium fatta dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente. Eppure era stato lo stesso primo cittadino a chiederne l’intervento, agli inizi della stagione, per stabilire la causa delle dermatiti che avevano colpito diversi bambini.

Ma andiamo per gradi e cerchiamo di riportare il dibattito in un campo di natura più scientifico. Da alcuni decenni le acque del Mediterraneo mostrano una temperatura media superficiale superiore di uno-due gradi rispetto alla media stagionale. Ciò ha determinato l’invasione di microrganismi vegetali e animali non tipici delle nostre latitudini. Inoltre, in alcuni tratti di costa non ancora serviti da moderni depuratori, la grande quantità di azoto e fosforo che derivano dai fertilizzanti utilizzati in agricoltura, favorisce la riproduzione e la fioritura delle alghe: Ostreopsis ovata, Gymnodinium, Dinophisis caudata, Caulerpa taxifolia. Speci originarie delle acque del Pacifico o dei Caraibi, ma ben conosciute anche ai nostri biologi marini, che pensano che il loro trasferimento nel Mediterraneo sia da collegare alle petroliere e alle navi che arrivano da quelle zone lontane. Quello su cui ancora poco si sa è il possibile ruolo svolto dalle biotossine nello sviluppo dei disturbi denunciati dai bagnanti. E qui si apre il problema più complesso: come si producono gli effetti tossici sull’uomo?

Gli esperti di Paesi in cui queste microalghe sono normalmente diffuse, in primis il Giappone, vedono raramente casi di intossicazione come quelli denunciati in Italia. In particolare le dermatiti che vengono quasi sempre riferite a condizioni di ipersensibilità individuale. Accertata invece la via enterale dovuta al consumo di molluschi contaminati, e la via respiratoria legata alla inalazione di un aereosol di acqua marina e particelle di alghe salite in superficie, alzato dal vento. Non è ancora chiaro però se a provocare i disturbi respiratori siano i frammenti stessi o la biotossina in essi contenute. Come è comprensibile queste incertezze rendono ancor più difficile definire misure di prevenzione e profilassi che non si limitino a generici divieti di balneazione o di consumo di mitili provenienti da aree inquinate. La stagione estiva sta per concludersi e probabilmente per almeno nove – dieci mesi di alghe non sentiremo più parlare sui giornali. Perchè, come si sa, in Italia se non c’è uno stato di emergenza si tende a pensare che il problema, se non fa notizia non esiste.

Quando le alghe erano buone

C’è stato un momento in cui sembrava che in un prossimo futuro le alghe avrebbero risolto il problema della fame nel mondo. Si valuta che ammonti a oltre 150 miliardi di tonnellate la quantità di carbonio organicato disponibile in questi organismi presenti nelle acque marine di tutto il mondo. Ci sono già diverse nazioni che ne coltivano e consumano diversi tipi anche per la loro alta concentrazione in iodio, proteine, grassi, carboidrati, minerali e vitamine, oltre a una preziosa sostanza: l’acido alginico, a forte azione antiossidante e disintossicante. Ma le alghe sono già fonte di sostanze molto note e utilizzate in medicina e in zootecnologia. Ogni anno si raccolgono quasi centomila tonnellate di alghe rosse da cui si ricava, tra l’altro, l’agar-agar utilizzato nei laboratori di microbiologia per la coltura di microrganismi. Dalle alghe brune si ottengono gli Alginati usati in odontotecnica, nella fabbricazione di cosmetici e alimenti nutrizionali. Questi ultimi due campi hanno suscitato un forte interesse da parte del mercato sia per il trattamento della cellulite e dell’aging cutaneo, sia per il forte sviluppo della talassoterapia, delle cure antiobesità e anticolesterolo. Grandi masse di alghe brune, sia fresche che essiccate, costituiscono la base dell’alimentazione del bestiame, e in agricoltura sono usate come fertilizzanti. Infine, l’alginato di sodio essiccato è parte del processo produttivo di carta e tessuti, serve in tintoria come mordente per lana e cotone, emulsiona gli oli, è una buona vernice e serve da isolante elettrico.

Ai tempi del grande Linneo (1707-1778), se ne conoscevano appena qualche centinaia di specie. Oggi sono oltre 20mila le alghe che i biologi hanno catalogato in ambiente marino, ma anche all’aria aperta e persino in luoghi asciutti. Appartengono alla famiglia delle Crittogame (senza fiori e semi), gruppo delle Tallofite (senza foglie, fusto e radici) e pur differendo fra loro hanno in comune una grande semplicità di struttura e una nutrizione autotrofa. Le alghe presentano le forme più varie, con dimensioni che variano da pochi micron di diametro ai 6 metri della Macrocystis pyrifera. In relazione al pigmento contenuto nei loro tessuti, le alghe si distinguono in Cloroficee e Rodoficee; molte altre non presentano alcun pigmento.