Curare il morbo di Hodgkin

di Arianna Urbani

Linfoma di Hodgkin: cos’è e come si cura

Parliamo del Morbo di Hodgkin: una malattia che colpisce il sistema linfatico e che può manifestarsi anche attraverso un intenso prurito. Era il 1832 quando sul Medico-Chirurgical Transactions, giornale edito dal 1809 al 1907 dalla Royal Medical and Chirurgical Society di Londra, fu pubblicato il celebre articolo On Some Morbid Appearances of the Absorbent Glands and Spleen, contenente i risultati degli studi del dottor Thomas Hodgkin. Tradotto in numerose lingue europee egli portò all’attenzione della comunità scientifico quello che è comunemente conosciuto come “morbo di Hodgkin”: un particolare tipo di linfoma che si distingue dagli altri per una serie di peculiarità di tipo istologico (la presenza di cellule tumorali giganti, le cosiddette cellule di Reed-Stenberg); patogenetico (l’origine è quasi sempre in un singolo linfonodo) e clinico (il decorso è tipicamente prevedibile). A essere colpito è il tessuto linfatico del sistema immunitario: la complessa rete di vasi linfatici; la linfa, ricca di globuli bianchi; i linfonodi del collo, sotto le ascelle, del torace, dell’addome e della zona inguinale; altri organi, come le tonsille e la milza. Vista la vastità di tessuto linfatico presente nel nostro organismo è dunque facile capire come la malattia di Hodgkin possa svilupparsi praticamente ovunque. Generalmente, l’origine si riscontra nell’anomalia nella cellula di Reed-Sternberg, che, dividendosi, inizia un processo a catena di duplicazione di cellule malate che, al contrario di quelle sane, non muoiono e non sono in grado di svolgere la regolare funzione immunitaria.

Morbo di Hodgkin
Altra foto di archivio risalente ai primi del ‘900 che documenta gli effetti del Morbo di Hodgkin

Secondo l’’Organizzazione Mondiale della Sanità si possono individuare tre forme della malattia: Linfoma di Hodgkin con prevalenza linfocitaria nodulare; Linfoma di Hodgkin classico, ovvero deplezione linfocitaria, cellularità mista, sclerosi nodulare e varietà ricca di linfociti; Linfoma di Hodgkin inclassificabile (che non rientra con certezza in una delle altre classificazioni). Tra i principali fattori che sembrano accentuare il rischio di sviluppare il morbo c’è senza dubbio il progressivo indebolimento del sistema immunitario in seguito all’assunzione di farmaci post-trapianto. L’ereditarietà o i precedenti familiari costituiscono un altro fattore di rischio: è scientificamente provato che i familiari di un paziente con linfoma di Hodgkin, soprattutto i fratelli e le sorelle, hanno maggiori possibilità di ammalarsi.

Linfociti Nodulari predominanti nel Linfoma di Hodgkin
Linfociti Nodulari predominanti nel Linfoma di Hodgkin

Lo stesso vale per coloro che hanno già contratto il virus di Epstein-Barr (EBV) o il virus dell’immunodeficienza umana (HIV). In genere, il linfoma di Hodgkin si presenta con frequenza tra gli adolescenti e gli adulti di età compresa tra i 15 e i 35 anni, e tra gli adulti di età superiore ai 55 anni. I primi sintomi possono essere diversi: dal gonfiore ai linfonodi del collo (60% dei casi), del mediastino (20%), delle ascelle o dell’inguine all’aumento della sensibilità all’alcol; dall’eccessivo dimagrimento apparentemente inspiegabile a una temperatura corporea sempre più elevata; dall’intensa sudorazione notturna a pruriti frequenti; dalla tosse e da problemi respiratori al senso di stanchezza e spossatezza. Sintomi molto comuni che evidentemente non sempre coincidono con la presenza del tumore, la cui diagnosi si fonda su una biopsia, attualmente l’unico metodo sicuro per diagnosticare il linfoma di Hodgkin. La scelta della terapia da seguire dipende soprattutto dal tipo di linfoma riscontrato (nella maggior parte dei casi è il tipo classico), dalla zona di localizzazione del tumore, dalle sue dimensioni, dall’età. In base a queste considerazioni, si procederà con la chemioterapia, con la radioterapia o con entrambe. è importante considerare bene gli effetti collaterali della cura scelta: sia la chemioterapia che la radioterapia, infatti, come spesso capita, danneggiano anche le cellule e i tessuti sani, soprattutto nei pazienti meno giovani. Solitamente quando la malattia è in stadio iniziale, ovvero il linfoma è circoscritto a una o più aree dallo stesso lato del diaframma, si procede con una chemioterapia di breve durata (da 2 a 4 cicli) e successivamente con la radioterapia con irradiazione dei linfonodi colpiti dalla malattia all’esordio.

Morbo di Hodgkin
Moro di Hodgkin

Tuttavia l’utilizzo della radioterapia può aumentare il rischio di altri tipi di tumore, soprattutto per le donne di età inferiore ai trenta anni e per questo essa viene praticata a bassi livelli. Discorso diverso se la malattia si trova in stadio avanzato, estesa ad altri distretti linfonodali o ad altri organi. In questo caso si procede con la chemioterapia, generalmente per 6 cicli, e dopo con un ciclo di radioterapia circoscritto sulle localizzazioni della malattia di grosse dimensioni (>10 cm). Recentemente è stato appurato che dopo i primi due cicli di chemioterapia, l’utilizzo della PET (Tomografia ad emissione di positroni) è importante per predire la prognosi del paziente e l’eventuale rischio di recidiva. Secondo le ricerche più recenti, comunque, entrambe le tecniche di intervento possono portare a una percentuale molto elevata di guarigioni. Se infatti nei primi anni Sessanta la sopravvivenza globale dei pazienti con linfoma di Hodgkin a 5 anni dalla diagnosi si aggirava intorno al 40%, oggi tale sopravvivenza è più che raddoppiata (84%), raggiungendo una percentuale del 90% nei pazienti più giovani. Nella maggior parte dei casi, il ciclo dei trattamenti previsti permette la guarigione definitiva. Soltanto nel 20% circa dei pazienti può esserci una recidiva. In questi casi sarà molto spesso sufficiente ripetere la terapia già effettuata, con dosi più alte delle precedenti. In corso di sperimentazione sono l’utilizzo di anticorpi anti-CD20, l’impiego dell’ immunotossina SGN-35 e il trapianto di cellule staminali ematopoietiche che permette di sottoporsi a una chemioterapia e/o a una radioterapia più aggressive, che aumentano però le possibilità di distruggere tanto le cellule del linfoma Hodgkin quanto le cellule sane presenti nel midollo osseo. La mortalità è comunque relativamente bassa: dei 7500-8000 nuovi casi all’anno (di cui soltanto 3 casi su 100.000 si verificano nei paesi occidentali) i decessi sono leggermente più frequenti negli uomini (0.6 su 100.000) rispetto alle donne (0.4).