Cultura e valori della nuova estetica

 del Dott. Pietro Lorenzetti Specialista in  Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica a Roma, Milano e Catania

Una riflessione di un chirurgo plastico sulle motivazioni sociali e culturali dei nuovi rituali “di passaggio” legati alla moderna chirurgia estetica

Kutia_kondh_woman_3La società dell’immagine, il culto del corpo e dell’apparire, la caduta dei valori, la pressione dei media con i suoi modelli falsati: sono tanti i motivi usati per spiegare il ricorso sempre più numeroso alle tecniche di medicina estetica e chirurgia plastica. Personalmente aggiungo due fattori importanti: la progressiva diminuzione dei costi e l’aumento esponenziale della vita media di circa un ventennio. è stato detto più volte che i 50 anni sono i nuovi 40 e le sessantenni non sono più donne al tramonto della loro esistenza, probabilmente nemmeno le nuove 80enni, arzille, impegnate e piene di interessi. Questa nuova generazione di donne (e uomini) mette in conto anche la cura di sé e il benessere, bisogni “moderni” ma non meno importanti. Vogliono stare bene con loro stessi, in salute e in autonomia. E perché no, sentirsi a loro agio anche davanti allo specchio. Non a caso negli ultimi 15 anni è crollato il ricorso al lifting totale grazie all’avvento dei filler iniettabili che permettono di rallentare con grazia e garbo la severità del tempo. Esiste poi una vera e propria “antropologia del corpo”: non a caso proprio le donne sono quelle che ricercano la chirurgia come un vero “rito di passaggio”. Se sino a 50 anni le donne affrontavano poche tappe “iniziatiche” che si concludevano con la menopausa, per molte vissuta come morte sociale, oggi hanno orizzonti vastissimi. A 50 anni le donne sono nel pieno della carriera, possono aspirare a nuove relazioni e ipotetiche maternità. Cambiamenti che sono stati facilitati da modificazioni del corpo. D’altronde da sempre le società umane hanno usato riti celebrativi per condividere e rendere noti a tutti i passaggi di status dei suoi appartenenti: l’ingresso alla vita adulta, le prove di ammissione allo status di uomo, le feste per il menarca delle donne e altre usanze come il matrimonio e la relativa esposizione del lenzuolo dopo la prima notte di nozze che nelle società del Sud doveva certificare la purezza della sposa. Nonostante i tempi abbiano subito un’accelerazione e molti comportamenti siano cambiati, l’essere umano ha bisogno di riti e rituali che scandiscono la propria esistenza nella comunità. Ecco allora che si festeggiano battesimi, comunioni, lauree e matrimoni così come promozioni sul lavoro e nascite dei figli. L’attenzione si è spostata sul corpo ma si tratta di un fenomeno tutt’altro che nuovo. La letteratura etnografica e le ricerche antropologiche sono ricchissime di esempi più o meno cruenti: tagli, incisioni e scarificazioni che determinano l’appartenenza, allungamento di labbra e lobi delle orecchie, allungamento del collo tramite l’applicazione di collari rigidi ma anche l’applicazione di piercing ornamentali sui capezzoli. Senza dimenticare la fasciatura dei piedi delle bambine giapponesi affinché rimanessero piccole e sottomesse da una deformità. Facciamo allora un parallelo tra l’antropologia delle popolazioni native e quella della civiltà globale. Il comune denominatore di queste pratiche è il dolore che rappresenta l’esperienza e tappa necessaria per acquisire uno status diverso e più elevato. Il corpo diventa quindi uno strumento di comunicazione: esistono tatuaggi tipici che accomunano i membri di particolari corpi militari, i carcerati ma anche gli affiliati alle gang cittadine. Il corpo è materia malleabile e viene plasmato per costruire l’individuo sociale. I riti sono caratterizzati da tre fasi fondamentali: la fase di separazione in cui l’individuo si allontana dal gruppo sociale, quella di transizione e quella di riaggregazione che prevede il rientro nel gruppo. La tempistica di un intervento chirurgico riproduce esattamente questa dinamica in cui la convalescenza rappresenta la separazione momentanea per rientrare migliorati. L’ansia e l’aspettativa sono le emozioni dominanti di tutto il processo e l’anestesia diventa il momento simbolico della sospensione e del passaggio verso la nuova fase ambita. E proprio come nei rituali tradizionali può essere necessaria la presenza di una figura che ‘guidi’ la persona attraverso questo processo: il medico deve avere la sensibilità di intercettare e interpretare i reali moventi interiori. Nei casi di passaggio è importante a esempio che la persona abbia superato la fase del dolore e del distacco dallo status precedente. Modificare un tratto fisico non è una panacea al dolore interiore di una perdita. Mi spiego: fare una liposuzione o una blefaroplastica non è un modo per superare, per esempio, una separazione, ma un miglioramento dopo che si è superata la fase del lutto e si è deciso di rimettersi in gioco passando da un miglioramento fisico. I passaggi di status moderni vengono celebrati rimettendo indietro le lancette dell’orologio. Una separazione, elaborato il fisiologico lutto affettivo, viene seguita sempre più spesso da un investimento sul proprio aspetto. Quando la chirurgia viene usata per sancire un momento particolare si sceglie una parte del corpo visibile: seno per le trentenni, fianchi e glutei a 40 anni e occhi e volto a 50. Un altro momento in cui le donne si sottopongono a interventi è il momento in cui i figli vanno via di casa e nelle giovanissime l’ingresso nel mondo del lavoro. Hanno più tempo per se stesse e tornano a investire sul rapporto di coppia. In fondo i moventi sono sempre gli stessi: rinnovamento, rinascita, sviluppo,  forse è cambiato solo lo scenario.

 

 

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La letteratura etnografica e le ricerche antropologiche sono ricchissime di esempi più o meno cruenti di riti e “segni” che l’essere umano adotta per affermare la propria esistenza nella comunità: tagli, incisioni, tatuaggi, piercing etc.