Esiste un confine fra una cosmesi “buona” e una “cattiva” ?
della dott.ssa Gabriella La Rovere
L’interrogativo nasce con Galeno e accompagna la storia della bellezza e della moda ma anche della medicina. Lo scopo dell’arte del trucco è di procurare una bellezza acquistata, mentre quello della cosmetica, che è parte della medicina, è di conservare nel corpo tutta la sua naturalezza, a cui si accompagna una naturale bellezza …rendere più bianco il colorito del viso con medicamenti, o più rosso, o farsi i capelli ricci o rossi oppure neri, o, come fanno le donne, accrescerne a dismisura la lunghezza, queste ed altre simili sono operazioni della perniciosa arte del trucco, non dell’arte medica” Così Galeno, medico greco (131-201 d.C.) segnò i confini tra cosmesi buona, con funzione conservativa della bellezza naturale, e cosmesi cattiva, distinzione che è rimasta per molto tempo.
Se le odiose lentiggini deturpano la bellezza del viso e non riescono ad avere efficacia i doni della natura benigna, spalma insieme, sulle guance ruchetta e aceto. Ti farà bene anche la cipolla temperata dal dolce miele, e mescolerai rape crude ed aceto, oppure il vizio del volto sarà eliminato da sangue di lepre. Quinto Sereno “Liber medicinalis” Le macchie del viso si curano con fiele sia di toro che d’asino, da solo, temperato con acqua, evitando di esporsi al sole e vento dopo che la pelle si è distaccata. Plinio “Naturalis Historia”. Nei secoli successivi il Cristianesimo condannò le pratiche di bellezza esaltando il pudore. Ogni intervento sul corpo era un doppio peccato: di lussuria e di orgoglio. Per Tertulliano, teologo del III secolo d.C., “Peccano contro di Lui le donne che si opprimono la pelle di unguenti, si tingono le guance di rosso e gli occhi di nero. Ciò che è dato per natura, viene da Dio, ma quello che è artificio, è opera del diavolo”. Significativo poi è il grottesco ritratto satirico di una certa Galla fatto da Giovenale: “lei se ne sta in casa ma i suoi capelli sono altrove, la dentiera se l’è tolta per la notte come si toglie un vestito e la sua faccia non dorme con lei: il suo corpo è riposto in cento vasetti”(!).
Lo specchio è la porta dell’inferno, strumento diabolico della donna civetta che, secondo Etienne de Bourbon, “aveva sette teste come il drago: una per il giorno, una testa per la notte, una per le feste civili, una per le cerimonie religiose, una per stare in casa, una per uscire, una per gli estranei”. Nonostante l’anatema religioso, le donne continuano ad utilizzare i cosmetici. Risalgono al XIII ed al XIV secolo i primi trattati di medicina in cui si codificano i canoni estetici e in cui sono presenti ricette utili per risolvere inestetismi cutanei, quali le macchie e le rughe. Per il Medioevo la bellezza è quella adolescenziale in quanto a 25 anni la donna, appesantita dalle gravidanze, viene considerata “deserto d’amore”. L’incarnato riluce del candore di un giglio o della neve, proprio ad avvalorare la sua natura virginale. Per aumentare l’impatto visivo luminoso, le donne si depilano la fronte applicando un miscuglio di solfuro naturale di arsenico e calce viva e per evitare la successiva ricrescita dei capelli utilizzavano un composto a base di sangue di pipistrello o di rana, succo di cicuta o ceneri di cavolo bagnato nell’aceto. I capelli sono tassativamente biondi e vanno lavati con un impasto di cenere, bianco d’uovo e sapone. Molto importante l’acconciatura che utilizzava delle ciocche false, dei cuscinetti di crine, il tutto adornato con fili di perle o d’oro. Successivamente il canone della ninfa medievale cede il passo alla donna vera, dalle forme arrotondate, dagli occhi neri e dal caldo incarnato, così come è raffigurata nel dipinto di Tiziano “Venere allo specchio” (1555 circa). È l’epoca di Caterina dé Medici, regina di Francia, fautrice della bellezza barocca ed ambasciatrice del modello italiano all’estero.
Le donne dell’epoca risultano ancora bionde: va di moda il cosiddetto “biondo veneziano” ottenuto con un preparato schiarente messo in posa sui capelli, lasciati asciugare al sole utilizzando un cappello a larghe tese che lasciava scoperta la sommità del capo. L’incarnato è ancora chiaro, ottenuto con l’uso della biacca opaca. La trasparenza del volto è sempre molto importante, espressione di nobiltà e purezza d’animo. La moda scopre il seno rigorosamente incipriato; le mani, anch’esse bianche, indossano ogni notte dei guanti al cui interno si trova un miscuglio schiarente a base di miele, mostarda e mandorle amare. Compaiono i finti nei per coprire lentiggini ed altre discromie cutanee. La loro posizione assume significati diversi: assassino quando è accanto all’occhio, malizioso sulla piega del sorriso, sbarazzino sul labbro superiore, sfrontato sul naso, discreto sul labbro inferiore. Risale a questo periodo la parola maquillage con il significato negativo di barare, truccare. Anche gli uomini non disdegnano l’uso dei belletti e dei profumi. Si dice che Mazarino si truccasse per sembrare più giovane, con grande vantaggio a livello diplomatico. Nel ‘600 la donna elegante esalta ancora il pallore del volto, stemperato da un sottile rossore sulle gote. La parola fard , di derivazione francone, ha il significato di ‘tenero”. L’abbronzatura è messa al bando e le donne utilizzano dei veli per coprire il decolleté. Fa la sua comparsa il rossetto, a uso esclusivo delle persone di rango e indossato indistintamente sia da uomini che da donne. Però per Giacomo Casanova (1703-1770), che di donne e di bellezza se ne intendeva, “una donna è mille volte più attraente quando esce dalle braccia di Morfeo che dopo un’accurata toilette”. Siamo giunti nel ‘700: va ancora di moda il pallore, solo che trattasi di pallore autentico; la cosmetica barocca lascia il posto al volto naturale che esprime i suoi sentimenti, meglio se emaciato e sofferente. È l’epoca delle brune, che ingrandiscono lo sguardo con la belladonna o l’atropina. Nasce la fisiognomica, disciplina medica che diagnostica le malattie attraverso i tratti del viso e che deduce il carattere della persona. Per la prima volta la bellezza non soggiace ad un canone ideale: è ancora una bellezza bianca e splendente grazie all’uso delle maschere da notte e dei prodotti esfolianti che cancellano rughe ed efelidi.
All’inizio dell’800 la classe borghese si distingue dal proletariato per la pulizia e lo scrupolo d’igiene. L’abitudine di farsi il bagno cresce di pari passo con l’installazione delle stanze destinate alle abluzioni. Ma ci vorrà molto tempo prima che l’igiene diventi una pratica quotidiana; all’epoca si consigliava di lavarsi i capelli ogni 2 mesi, i piedi ogni 8 giorni ed i denti una volta alla settimana (!) “Che cos’è la bellezza ? Una convenzione, una moneta che ha corso solo in un dato tempo e in un dato luogo” così pensava Henrik Ibsen (1828-1906), autore di “Casa di bambola” (1879) in cui la protagonista, Nora, preannuncia il movimento femminista: decide di vivere autonomamente nel momento in cui diventa consapevole di non essere, per il marito e per la società che la circonda, che una futile e graziosa bambola. E per l’epoca, la bellezza ideale è caratterizzata dalla sobrietà. Paul Perret sentenzia: “La borghese non si trucca, si dà una sistemata”. Il maquillage, che finalmente perde tutti i suoi connotati negativi, utilizza la cipria, il cold-cream ed il mascara. Nel 1863 Charles Baudelaire scrive “Eloge du maquillage”, in cui riconduce la bellezza all’idea dell’artificio: “Tutto ciò che è bello è il risultato del ragionamento e del calcolo. Tutto ciò che viene dalla natura è orribile”. La mania del ballo che contagia la Parigi dell’epoca, colpisce tutte le donne della classe media, soprattutto le operaie e le donne di facili costumi. Impazzano il cancàn, il Moulin Rouge e le Folies Bergére e ripresi nei dipinti di Toulouse-Lautrec e Degas. All’immagine della bellezza borghese si contrappone quella popolare, sempre molto truccata, con labbra rosse, occhi bistrati e capelli raccolti di premura. “La donna ha diritto all’esercizio quotidiano dei muscoli e dei nervi: ha diritto a far respirare la pelle, all’igiene dei tessuti, alla gioia del corpo nella sua interezza. Solo così diventerà un essere elegante, sano ed equilibrato, e non sarà più la creatura di peccato e voluttà dipinta in secoli di cattolicesimo moraleggiante” H. Beranger (1900). Sono cambiati i tempi: la donna scopre il corpo, fa attività fisica. Finisce l’epoca dei corsetti che modellavano la figura: tutto è demandato alla ginnastica. La donna moderna ha il ventre piatto, il seno piccolo e le spalle muscolose: un corpo androgino che emana ambiguità e che è libero di amare chi vuole. Alla fine degli anni Venti, si scopre il piacere di una pelle femminile abbronzata, non più espressione di appartenenza a una classe sociale inferiore, ma segno di salute e benessere fisico: Coco Chanel istiga le donne ad abbandonare l’ombrello che proteggeva la pelle dai raggi solari, ad eliminare i guanti e ad accorciare le gonne. Come sarà l’immagine femminile nel 3° Millennio? La risposta in un aforisma di Arthur Bloch “La bellezza è soltanto epidermica. La bruttezza arriva fino all’osso”
Se le odiose lentiggini deturpano la bellezza del viso e non riescono ad avere efficacia i doni della natura benigna, spalma insieme, sulle guance ruchetta e aceto. Ti farà bene anche la cipolla temperata dal dolce miele, e mescolerai rape crude ed aceto, oppure il vizio del volto sarà eliminato da sangue di lepre. Quinto Sereno “Liber medicinalis”.
Le macchie del viso si curano con fiele sia di toro che d’asino, da solo, temperato con acqua, evitando di esporsi al sole e vento dopo che la pelle si è distaccata. Plinio “Naturalis Historia”