Compliance, adesione, alleanza e la cura funziona

Alcuni studi suggeriscono che un coinvolgimento attivo del paziente con cronicità ha implicazioni positive sull’aderenza terapeutica

Il dato è sorprendente ma caratterizza i sistemi sanitari di tutti i paesi sviluppati. Il 70-80% dei pazienti colpiti da malattie croniche non segue correttamente le prescrizioni terapeutiche del proprio specialista. Le interrompe volontariamente, utilizza i farmaci in maniera incompleta o irregolare, modifica le dosi, li sostituisce o li conserva in maniera errata. In questo modo si rischia di aggravare la patologia e di accrescere la disillusione e l’insoddisfazione riguardo le aspettative di cura, facendo aumentare la sfiducia anche nei riguardi di eventuali nuove terapie e, soprattutto, alimentando una depressione già latente. Questo scenario ha fatto emergere la necessità di rivedere la convinzione che la responsabilità sia sempre e solo da attribuire al paziente perché, è innegabile, che a monte esistono tanti altri fattori che influenzano il suo comportamento e la capacità di seguire il percorso terapeutico. Alcuni di loro sono probabilmente correlati alla sensibilità e alla disponibilità del medico e all’ambiente della struttura sanitaria in cui il paziente riceve assistenza. Incidono poi fattori sociali, culturali ed economici, la localizzazione e le caratteristiche della malattia, e non ultimo il tipo di terapia prescritta. Proviamo ora a ridurre la confusione che esiste rispetto ad alcune parole di uso comune, iniziando con compliance, a lungo considerata elemento essenziale di qualsiasi terapia, la quale rischia di perdere di efficacia se non viene effettuata con puntualità e precisione. Il termine implica un’asimmetria decisionale nel rapporto medico-paziente con una passiva acquiescenza verso la terapia farmacologica o igienica prescritta. Diverso il concetto di aderenza terapeutica, oggi preferito perché mette in luce il ruolo attivo del paziente e la sua partecipazione al trattamento, e perché apre la porta alla cosiddetta alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, nel pieno rispetto delle esigenze di entrambi. Appare evidente come in ognuna di queste condizioni il paziente abbia il diritto di essere informato in modo semplice ma preciso, per ottenere così una conoscenza approfondita dei farmaci da assumere, del loro meccanismo d’azione, delle loro caratteristiche e dei possibili effetti collaterali. Una migliore consapevolezza favorisce infatti il coinvolgimento attivo dei pazienti e nelle malattie croniche porta a una migliore qualità di vita, e a minori costi sociosanitari. Parlando di dermatologia, è noto che l’aderenza al trattamento topico per diverse patologie cutanee croniche, come psoriasi, acne e dermatite atopica, è anche molto scarsa e questo è considerato uno dei principali fattori alla base della mancanza di efficacia del trattamento per molte patologie cutanee. Ta le motivazioni principali ci sono le preoccupazioni dei pazienti riguardo agli effetti, in particolare la fobia per i corticosteroidi collaterali, ma molto importante sono anche la semplicità e il tempo necessario all’applicazione e il suo impatto estetico. A tutt’oggi non ci sono programmi o strategie che si sono mostrati efficaci per migliorare il livello di adesione che è un processo continuo e dinamico, e di fatto troppe volte i trattamenti vengono prescritti ai pazienti benché questi ultimi non siano pronti o anche del tutto disponibili a seguirli. D’altro canto, gli stessi operatori sanitari dovrebbero avere accesso a corsi di formazione specifici sulla gestione dell’adesione, basati su tre argomenti: la conoscenza (informazioni relative al concetto di adesione), il pensiero (il processo che conduce alle decisioni cliniche) e l’azione (gli strumenti comportamentali). In un articolo pubblicato sul Journal of Cutaneous Medicine and Surgery (Vol. 22(2) 207-212) le autrici Julia Mayba e Melinda Gooderhamer suggeriscono che per migliorare l’aderenza al trattamento, i dermatologi dovrebbero fornire informazioni più accurate ai loro pazienti sulle motivazioni, i vantaggi e gli svantaggi, per cui prescrivono una fra le varie formulazioni topiche disponibili: unguenti, creme, lozioni, soluzioni topiche, sospensioni topiche, gel, schiume e spray. Nel caso della psoriasi, andrebbe chiarito perché la formulazione scelta per la cura delle placche, l’eritema e la desquamazione può essere più efficace se l’area affetta sono i gomiti, le ginocchia, il cuoio capelluto, la schiena o tutto il corpo. Inoltre, andrebbe sottolineata l’importanza che può avere il veicolo del farmaco, un elemento critico che può influenzare in modo significativo l’aderenza del paziente. Tutto ciò nella convinzione che in circa l’80% dei casi, da lievi a moderati, i prodotti topici sono un insostituibile pilastro del trattamento della psoriasi (Menter A, Korman NJ, Elmets CA, et al. Guidelines of care for the management and treatment of psoriasis with topical therapies. J Am Acad Dermatol. 2009; 60:643–59.), spesso da utilizzare in concomitanza anche con una terapia sistemica. Poiché una migliore accettazione da parte del paziente può avere un impatto sull’aderenza e, di conseguenza, sull’efficacia e la qualità della vita reale. (Dunbar-Jacob Jet al. Adherence in chronic disease. Annual Review of Nursing Research, 2000,18:48-90.) bisogna tener conto anche delle preferenze dei pazienti rispetto al veicolo del prodotto topico, anche se è realmente difficile predire le loro risposte (Lars Iversen, Henny Jakobsen – Patient Preferences for Topical Psoriasi Treatments are Diverse and Difficult to Predict, Dermatol Ther (Heidelb) 2016, 6:273-285). Un interessante studio ha preso in considerazione il gradimento dei pazienti rispetto a due formulazioni contenente calcipotriolo (50mg/g) e betametasone dipropionato (05, mg/g) per il trattamento della psoriasi del cuoio capelluto, un’area di difficile trattamento. Siccome tutti e due gli attivi sono incompatibili in mezzi acquosi e alcolici, entrambi i veicoli per gli unguenti e i gel sono lipofili, non contengono alcol o acqua e forniscono buone proprietà emollienti che migliorano l’idratazione della pelle secca e la riparazione della barriera cutanea. Ciò significa, però, inevitabilmente che entrambi i veicoli sono percepiti come untuosi e quindi poco graditi. L’aggiunta di un applicatore di gel Cal/BD è stata sviluppata su suggerimento di un gruppo di pazienti e di operatori sanitari per garantire un’applicazione mirata, “no touch” che consente di applicare il trattamento senza sporcarsi le dita di gel e una buona parte del campione di studio ha espresso un parere più favorevole sul gel rispetto all’unguento. (Rasmussen G, Bech LL, Nielsen TW. An applicator delivery system for fixed-combination calcipotriene plus betamethasone dipropionate topical suspension (gel): innovating psoriasis vulgaris treatment through patient collaboration. Dermatol Ther (Heidelb). 2015; 5:235-46.). In conclusione, considerato che ogni paziente è diverso dall’altro, soltanto dando a chi è affetto da psoriasi la possibilità di scegliere la formulazione e il sistema di somministrazione del proprio trattamento topico, soddisfacendo così la sua preferenza individuale, può aiutare a migliorare l’aderenza aumentando l’accettabilità del trattamento quotidiano. E non è cosa da poco.