Curare le cicatrici da acne è molto complesso. Un chirurgo plastico ci illustra i risultati di uno studio clinico durato cinque anni
Dott. Matteo Tretti Clementoni, chirurgo plastico
Se, come dicono le indagini epidemiologiche, l’acne colpisce oltre l’80% degli adolescenti, persistendo nell’età adulta nel 12%-14% dei casi(1,2), il formarsi delle cicatrici provocate da questa malattia infiammatoria dell’unità pilosebacea, è la conseguenza più temibile. Nel 30% dei casi tali cicatrici possono essere classificate come severe(3,4) e non sono solo esteticamente spiacevoli ma rappresentano un fattore di rischio per alcune sequele psicologiche, quali una ridotta autostima, depressione, ansia, disagio sociale, basso rendimento scolastico, disoccupazione e perfino suicidio(5,6). Come noto, lo sviluppo delle cicatrici è da addebitare a una alterata guarigione dei processi infiammatori caratterizzati da uno squilibrio tra biosintesi e degradazione della matrice extracellulare ed è correlato alla severità della malattia iniziale(7,8). Solo nel 10% dei casi tale squilibrio dà origine a cicatrici ipertrofico/cheloidee, mentre è più comune osservare lesioni di tipo atrofico(3). Jacob et al. hanno classificato le cicatrici atrofiche in ice-pick (a punteruolo da ghiaccio), rolling (a scodella) e box-car(9). Goodman e Baron hanno aggiunto alle precedenti anche le cicatrici maculari(10). A disposizione del professionista ci sono diverse opzioni di trattamento delle cicatrici e la scelta dipende dalla loro forma clinica. Ci sono approcci chirurgici (quali l’escissione, la subcision e la punch technique), e non chirurgici (dermoabrasione, needling, peeling chimici, fillers ed EBD – Energy Based Devices)(11). Colore, profondità e morfologia delle cicatrici influenzano la scelta della metodica ma spesso un approccio di più tecniche combinate offre un risultato migliore(12). Una review realizzata nel 2016 non è riuscita a stabilire quale debba essere la tecnologia di prima scelta(13) ma nel 2021 è stato pubblicato un ampio lavoro che, fornendo raccomandazioni internazionali, ha provato a mettere ordine nella gran quantità di laser e altri EBDs utilizzabili(14). Ciò premesso, intervenire sulle cicatrici da acne rappresenta una sfida complessa, perché ricca di vari scogli operativi (fototipi scuri, lunghi downtime, rischi cicatriziali e/o di pigmentazioni post infiammatorie, stagionalità dei trattamenti) che spesso si manifestano durante il percorso di cura. Nella nostra quinquennale esperienza, abbiamo adottato una promettente tecnologia pneumatica, di cui oggi possiamo definire sia l’efficacia che il profilo di sicurezza, basata sull’impianto senza aghi di acido ialuronico nello spessore cutaneo(14,15,16). Tra gennaio 2017 e dicembre 2021, abbiamo sottoposto al trattamento 137 pazienti (96 donne e 41 uomini) di fototipo II-IV con cicatrici classificabili di grado 3 o 4 secondo la scala qualitativa di Goodman e Baron(17). Ogni paziente è stato sottoposto a 4 sedute di trattamento, a intervalli di non meno di 45 giorni e non più di 60. A T0 così come a T1 (sei mesi dopo l’ultima seduta) è stata compilata per ogni paziente la scala ECCA (échelle d’évaluation clinique des cicatrices d’acné) allo scopo di valutare il possibile miglioramento imputabile al trattamento(18). I criteri di esclusione dallo studio sono stati: gravidanza, allattamento, anamnesi positiva per formazione di cheloidi, infezioni cutanee attive e trattamenti con qualsivoglia EBD nei sei mesi antecedenti. Tutti i pazienti sono stati fotografati a T0 utilizzando un sistema fotografico a 3D (Vectra H1 – Canfield) e 6 mesi dopo la fine del trattamento.
La comparazione fotografica T0-T1 utilizzando la classificazione qualitativa di Goodman e Baron è stata valutata da due dermatologi indipendenti mediante la PGAIS scale (Physician Global Aesthetic Improvement Scale) mentre la comparazione numerica dei risultati pre e post trattamento della scala ECCA ha permesso una valutazione più oggettiva dei risultati. Sono infine stati registrati tutti gli eventuali eventi avversi a breve e lungo termine. La tecnica prevede che in una siringa da 10 cc si aspirino 7 cc di soluzione fisiologica e 1 cc di acido ialuronico (20 mg/ml). Per mezzo di un raccordo a due vie e una seconda siringa luer-lock da 10 cc e mediante un movimento ripetuto di va e vieni si mescolano i due componenti sino a ottenere una miscela omogenea. Dopo avere deterso e disinfettato la cute, con soluzioni a base di clorexidina, si procede colpendo il fondo di ogni cicatrice. L’end point è l’immediato formarsi di un pomfo biancastro che può raggiungere 1 cm di diametro centrato da un piccolo foro di entrata (200 μm) che raramente sanguina debolmente (Fig 1). La pressione da utilizzare è variata dall’operatore in funzione dell’end-point visualizzato e della resistenza cutanea dell’area trattata (pressioni maggiori nel sesso maschile e ove il tessuto cicatriziale è più spesso). L’individuazione del foro di entrata senza la presenza del pomfo biancastro indica una eccessiva penetrazione del materiale scelto e quindi l’operatore è tenuto a ridurre la pressione. Assenza del foro di entrata, di pomfo biancastro e perdita di materiale sulla superficie cutanea indicano che la pressione utilizzata è troppo bassa per vincere la resistenza cutanea e va aumentata. Al termine del trattamento sull’intera superficie cutanea è applicato acido fusidico in unguento onde ridurre le pur esigue possibilità infettive. A ogni somministrazione, una quantità di acido ialuronico (nel caso in esame 110 μL) viene sparata a 150 m/sec nella cute. Durante la penetrazione nel tessuto cutaneo la massa di acido ialuronico perde energia cinetica ma mantiene energia sufficiente per esplodere, a fine corsa (effetto blast), in micro-accumuli che come micro-proiettili, muovendosi in modo centrifugo, creano centinaia di canali abitati da acido ialuronico (Fig 2). Evidente come la superficie di questi canali (e quindi la biodisponibilità del prodotto utilizzato) sia maggiore rispetto a quella della stessa quantità di prodotto iniettato con un ago (che geometricamente si potrebbe invece associare a una sfera) (Fig 3). La stimolazione alla sintesi di nuovo collagene come effetto diretto della presenza di acido ialuronico(19) sarà quindi maggiore. Il danno meccanico creato dalla formazione dei micro-canali, inoltre, innesca una risposta di neocollagenesi oltre che essere in grado, almeno in parte, di sezionare i tralci fibrosi retraenti presenti alla base di ogni cicatrice. 135 pazienti hanno completato lo studio per un totale di 548 sessioni di trattamento. In 2 pazienti (0,014%), a seguito di una seduta (0,0036% del numero totale delle sessioni) si è osservato la comparsa di elementi acneici che sono stati trattati sino alla scomparsa (tempo medio 13,5 giorni) con gentamicina topica. La PGAIS scale ha evidenziato un miglioramento nella quasi totalità dei soggetti (un solo caso con miglioramento minimo o non significativo) mentre la comparazione dei dati delle scale ECCA ha confermato la significatività statistica dei miglioramenti (P<0,001). A latere si segnala che in taluni casi il risultato è stato valutato dai pazienti stessi come sorprendente (Fig 4-5). In conclusione, ci sentiamo di testimoriare che l’impianto pneumatico di acido ialuronico (eseguito con l’ausilio dell’apparecchiatura Enerjet 2.0 di Sinclair) permette di ottenere un miglioramento significativo delle cicatrici atrofiche da acne. All’efficacia si associa anche un altissimo profilo di sicurezza che permette il trattamento anche di pazienti dal fototipo elevato. La minima lesione di superficie e il ridottissimo processo infiammatorio permettono inoltre di trattare il paziente anche durante le stagioni ad alto irraggiamento UV e contemporaneamente ad altri trattamenti.