Eliminare le cicatrici con la chirurgia

Qual’è il comportamento degli Italiani nei confronti delle piccole ferite che spesso si verificano in casa o sul posto di lavoro? Dai risultati di uno studio emerge una carente informazione su un processo articolato e molto complesso. Diversi consigli per trovare la strada più adatta a ogni singolo caso e per decidere se ricorrere alla chirurgia plastica.

Tagli, abrasioni, scottature, sono all’ordine del giorno in ogni famiglia o posto di lavoro. Secondo alcuni studi il 50% dei tagli coinvolge le persone quando sono in casa e riguarda soprattutto le donne e i bambini tra 7 e 14 anni. In generale, il taglio, a danno delle dita delle mani, è di piccole dimensioni e non si caratterizza per essere sporco. Le abrasioni escoriazioni coinvolgono nel 31% dei casi persone fuori casa e riguardano di più bambini tra 7 e 18 anni e meno gli adulti. Generalmente queste ferite sono a danno delle ginocchia, sporche e mediamente estese.

Le bruciature-scottature coinvolgono il 27% delle persone, prevalentemente in casa, e riguardano donne tra i 25 e i 64 anni. Anche queste ferite sono più a danno delle mani e delle braccia, sporche, non estese e spesso si è formata una vescica. Il rimedio più usato è il lavaggio con acqua (74%) e a seguire l’uso di creme, polveri o spray (67% dei casi). Nello specifico, il comportamento degli Italiani per la medicazione di piccole ferite indica che le procedure di “intervento” in caso di piccole ferite si dividono in due fasi: una “liquida” e l’altra “solida” (PiTre Consumer – campione di 600 donne responsabili d’acquisto). Nella prima si fa ricorso a una disinfezione generica per lavare-pulire la ferita con acqua o disinfettanti (85%). Un gesto meccanico che deterge e disinfetta la ferita ma non costituisce una barriera contro gli eventuali germi che possono infettare la cute lesa. La fase “solida” invece è caratterizzata dall’uso di creme, polveri o spray disinfettanti o antibiotici per prevenire infezioni o curare quelle già in atto e/o accelerare e favorire il processo di cicatrizzazione. Lo scopo è creare un vero “scudo” di protezione che duri nel tempo. Il processo di cicatrizzazione (che termina nel momento in cui psicologicamente non ci si deve preoccupare della ferita e non quando è effettivamente chiusa) viene percepito come una cosa naturale, e il ricorso a un prodotto specifico, che – tra l’altro – viene scelto in termini di velocità/qualità della guarigione, è considerato comunque secondario ed eventuale, spesso inoltre si tratta di un rimedio ritardato, nel caso in cui la ferita non sia stata curata bene da subito.

Sfortunatamente però, la cicatrizzazione è un processo biologico dinamico, influenzato da molteplici fattori, caratterizzato da una serie di eveti che s’inescano a catena e che conducono alla riparazione delle ferite. Una complessa interazione tra meccanismi biochimici, cellulari e tissutali la cui durata e il cui risultato finale variano in relazone al tipo di ferita, di ulcera o di ustione.