Cheloidi? Quello che si può fare

di Nicole Salvoni

La cura delle cicatrici ipertrofiche e dei cheloidi è considerata una sfida per il dermatologo. Vediamo quali sono gli approcci di intervento più utilizzati

Secondo l’Atlante di Dermatologia Clinica Fitzpatrick: il trattamento delle cicatrici ipertrofiche e cheloidi “è una vera e propria sfida”. La possibilità di migliorarne l’aspetto, infatti, dipende da molteplici fattori quali la grandezza, la localizzazione o dal tempo della loro formazione. Tuttavia negli ultimi tempi sono molte le metodiche di intervento messe a punto dalla ricerca farmacologica e dalla pratica chirurgica. Spendiamo ora qualche parola sulle differenze tra i due tipi di cicatrici e sulle loro peculiarità. Le cicatrici ipertrofiche possono avere diversa origine: a seguito di una incisione chirurgica, di una ferita lacerocontusa, un’abrasione, un intervento di criochirurgia, di diatermocoagulazione, vaccinazione, ma anche acne, ecc. Compaiono dopo circa 1-2 mesi dalla guarigione completa e sono associate a dolore e prurito.

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I cheloidi invece possono svilupparsi anche in modo spontaneo, solitamente nella regione presternale, senza alcuna ferita pregressa. Differente anche l’aspetto dei due tipi di cicatrici: le prime si presentano come un’alterazione di colorito rosso, dure e rilevate ma confinate nella sede originale della ferita, mentre le seconde hanno un aspetto similare a quello delle chele. Inoltre se le prime tendono a regredire col tempo i cheloidi, al contrario, aumentano di dimensioni negli anni. Diverse le terapie che vengono effettuate per prevenirle e curarle. La più diffusa è sicuramente l’applicazione per via topica di prodotti in gel e cerotti in silicone.

Di facile reperibilità e applicazione hanno scarsi effetti collaterali e possono essere applicati su ferite chiuse ma anche su cicatrici già formate. Meno diffuso l’approccio meccanico esterno poiché la revisione chirurgica comporta una percentuale piuttosto alta di recidiva. Comunque in caso di gravi malformazioni questa resta la via più indicata anche se è importantissimo che vi sia una completa stabilizzazione della cicatrice. Anche in questi casi, dopo l’intervento, è importante applicare un prodotto a base di silicone o cortisone. Altra metodica è la crioterapia che porta alla distruzione del tessuto cicatriziale per meccanismo diretto e indiretto fino a una riduzione del volume del 50% in una sola seduta. Più delicato è l’approccio con Radioterapia associata a chirurgia, da riservarsi a quelle cicatrici ipertrofiche e quei cheloidi resistenti ad altri trattamenti. Esiste infatti un pur limitato rischio cancerogeno, e la percentuale di successo è determinata dal distretto cutaneo in cui si agisce. Infine, sono allo studio diverse altre terapie di cui però si è in attesa di conoscere casistiche accurate. Tra queste la più efficace sembrerebbe essere quella a base di iniezioni intralesionali di Avotermina (TGFb3 ricombinante), Interleuchina-10 ricombinante e Mannosio-6-fosfato.