E’ possibile la cancellazione di notizie da internet?

di Giorgio Bartolomucci

Gogna elettronica e diritto all’oblio

Una recente sentenza della Corte Europea di Giustizia permette di richiedere la cancellazione di notizie dalla rete. Durante l’ultima edizione del Congresso Nazionale AIDA di Catania, mi è stato chiesto di moderare una sessione dedicata a Internet in Dermatologia. Un momento di dibattito molto intenso e interessante, cui vorrei far seguire un mio personale approfondimento su una recente novità della rete.

Cancellazione notizie internetIl mondo del web può essere descritto in molti modi. A molti appare come un pozzo, una caverna o meglio un lago, profondi e scuri, in cui vengono quotidianamente gettate milioni di informazioni, le quali sembrano sparire, affondate nella materia informe e confusa che ne copre il fondo. Fino a quando, però, un motore di ricerca rapido e veloce, capace di muoversi e scandagliare ogni anfratto riesce a far riemergere in superficie le notizie, i dati, gli articoli di giornale, le foto che sembravano ormai definitivamente scomparsi e perduti. Nulla si perde nella rete, tutto è indicizzato e resta inesorabilmente in memoria per un periodo indeterminato, e spesso non è neanche necessario cercare con metodo e con le giuste parole chiave, perché le notizie di cronaca possono diventare facilmente accessibili cliccando semplicemente il nome dell’individuo su cui cerchiamo informazioni, riuscendo a scoprire cose su di lui lontane negli anni, ormai superate, dimenticate, che potrebbero essere anche false oppure infamanti.

Pensate al caso di un medico finito sui giornali con l’accusa di malpractice, per una denuncia per omicidio colposo o quant’altro. Anche se è stato prosciolto prima ancora di arrivare in giudizio, oppure è stato assolto definitivamente alla fine di un giusto processo, il suo nome nella rete resta legato al triste episodio che lo vide coinvolto e certamente, da innocente, questo non gli fa certamente piacere, ne gli procura nuovi pazienti. Lo stesso vale, per esempio, per il dirigente sanitario coinvolto in un caso di corruzione da cui è stato giudizialmente ritenuto estraneo, o per il professionista sbattuto in prima pagina perché accusato di violenze sessuali su una paziente, accuse poi rivelatesi infondate. Momenti bui della propria esistenza di cui si sarebbe fatto volentieri a meno, che forse si vorrebbe dimenticare, ma che nella rete restano come segni indelebili che macchiano la figura, la carriera e la storia professionale di tante persone per bene. Le quali, fino a qualche mese fa, non potevano quasi far nulla per difendersi da questo permanente stato di diffamazione gratuita e continuata. Abbiamo detto fino a qualche mese fa, perché con la sentenza della Corte di Giustizia Europea (13 maggio 2014, causa C-131/12), è stato finalmente riconosciuto il Diritto all’oblio alle persone che si sentono diffamate, lese nei propri diritti – alla privacy o in generale alla dignità personale – da quanto appare sul web.

Il diritto a essere dimenticati online presuppone oggi la possibilità di richiedere e ottenere dal provider di cancellare e rendere non più ricercabile, a distanza di anni, negli archivi online, il materiale sgradito che potrebbe risultare sconveniente e dannoso per chi è stato protagonista nel passato di fatti di cronaca. In caso di inadempienza, si potrà avanzare la richiesta davanti al Garante della Privacy o al Giudice ordinario di un cospicuo risarcimento del danno, come già previsto da l’art. 2050 del Codice Civile, ma che prima dell’intervento della Corte Europea, veniva generalmente evitato dai provider con la dimostrazione di non aver potuto evitare l’indicizzazione del contenuto degli articoli da parte dei giornale in cui erano apparsi. È stato infatti riaffermato, senza possibilità di appello, che sono i motori di ricerca i titolari del trattamento dei dati degli utenti e, dietro esplicita richiesta, sono obbligati a verificare la fondatezza della applicazione del diritto all’oblio. Subito dopo la sentenza, numerosi esperti l’hanno accusata di minacciare la libertà di espressione e di accesso all’informazione, prevista dall’art. 21 della Costituzione, ma la Corte ha ritenuto prevalente il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione.

Il diritto di un individuo a essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca, si applicherebbe anche a chi abbia commesso un reato a condizione che il pubblico sia già stato ampiamente informato in base al diritto di cronaca. Si ritiene, infatti, che quando un determinato fatto è stato assimilato e conosciuto da un’intera comunità, cessa di essere utile per l’interesse pubblico: smette si essere oggetto di cronaca e ritorna a essere fatto privato. Si cerca, così, di tutelare la reputazione delle persone coinvolte nel fatto restituendo loro il diritto alla riservatezza, dando valore pure al principio della funzione rieducativa della pena. Il diritto all’oblio favorirebbe, in questo senso, il reinserimento sociale dell’accusato, il suo ritorno alla società civile. Su questo punto si era già espressa anche la Suprema Corte di Cassazione, da ultimo con la sentenza 16111 del 2013 (Cass. Civ.) affermando che, per reiterare legittimamente notizie attinenti a fatti remoti nel tempo, è necessario il rilevante collegamento con la realtà attuale e la concreta utilità della notizia. Si tratta del cosiddetto principio di pertinenza, secondo cui il diritto di riproporre notizie, seppur veritiere, da parte di organi di stampa, anche a distanza di tempo, è possibile solo se esse hanno una stretta relazione con nuovi fatti di cronaca e se vi è un interesse pubblico alla loro diffusione. In conclusione, se è vero che la Costituzione riconosce e garantisce la libertà di stampa, è pur vero che tramite la divulgazione di notizie o di fatti si può ledere un diritto altrui: basti pensare all’onore, alla riservatezza, all’immagine. La Rete non può essere intesa come una “zona franca” del diritto ma anche qui vanno rispettati il diritto al nome, all’immagine, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza, all’identità personale e non ultimo all’oblio. Se Internet è uno degli strumenti più democratici ed egualitari, al tempo stesso per le sue stesse potenzialità non deve essere utilizzato in maniera irresponsabile, perché più di ogni altro mezzo può ledere in maniera irrimediabile la reputazione altrui.