Benjamin Rush, tra i padri della costituzione americana, curava la pazzia con i salassi anche se fra i suoi pazienti c’era suo figlio
della Dr.ssa Gabriella La Rovere
Benjamin Rush, medico, è uno dei padri fondatori degli Stati Uniti. La sua vita familiare e professionale sono strettamente legate a quella del figlio primogenito John, nato nel 1777, divenuto anch’egli medico ma morto nell’ospedale psichiatrico diretto dal padre, dopo un soggiorno di 27 anni, il 9 agosto 1837. La storia del rapporto fra padre e figlio, sullo scenario di una medicina che compiva i primi stentati passi nello studio delle malattie mentali, può rappresentare un insieme di ipotesi strampalate, false credenze e di approcci terapeutici. Andiamo per gradi e ripercorriamo i momenti dell’intricata vicenda. John era il primogenito e la madre, di cui si conosce ben poco, donna schiva e devota, partorì tredici bambini, dei quali solo nove raggiunsero l’età adulta. Rush padre credeva nell’importanza speciale della primogenitura. Il nome John era stato portato non solo dal bisnonno ma anche dal nonno. John era un “ragazzo promettente” che avrebbe potuto seguire le orme del padre, studiando medicina a Edimburgo e, per questo, egli era solito portarlo con sé in visita al Pennsylvania Hospital. In un’occasione, il piccolo, che aveva nove anni, assistette a un’operazione particolarmente dolorosa senza alcuna apparente emozione. Pochi giorni dopo, durante una visita a una donna malata di mente che era stata incatenata al pavimento, il piccolo John mostrò una particolare curiosità, facendo una fila di domande sulla follia, le sue cause e la cura. Benjamin Rush, era noto per la sua ferma opposizione alle punizioni capitali e corporali, e usò con il figlio un metodo educativo che, probabilmente, ebbe influenza sulla sua psiche. “Mio figlio maggiore, che ora ha quasi 12 anni – scriveva nel 1789 – mi ha pregato più di una volta di frustarlo piuttosto che metterlo in castigo isolandolo. Io ritengo, invece, che la durata della reclusione e le circostanze spiacevoli a essa connessa debbano essere proporzionate alle sue colpe. Una volta ho confinato i miei due figli maggiori in stanze separate per diversi giorni”. Nel maggio 1792 Rush mandò John quindicenne a Princeton, nonostante fosse preoccupato per il carattere del figlio e la tendenza a mettersi nei guai. Gli organizzò l’alloggio presso la famiglia di Walter Minto, un professore della scuola, stabilendo una disciplina rigorosa: il figlio doveva studiare costantemente, non doveva frequentare altri studenti più di quanto fosse assolutamente necessario e mai andare al college se non per le lezioni, perché considerava la vita universitaria deleteria, in termini di moralità e buone maniere, per i ragazzi della sua età. A settembre dello stesso anno John e altri tre giovani furono trovati a giocare a carte. La reazione del padre fu severa, eccessiva rispetto alla colpa, al punto da allontanarlo definitivamente da Princeton. Due anni dopo John divenne praticante medico di suo padre. La sua irascibilità e l’incapacità a gestire le proprie emozioni cominciarono però a metterlo nei guai. A vent’anni affrontò e colpì al volto il dr. Andrew Ross, a suo dire colpevole di aver polemizzato sui giornali locali riguardo i metodi di trattamento usati dal padre durante una recente epidemia di febbre gialla. Risultò poi che l’accusa fosse totalmente falsa. L’anno dopo, John si arruolò in Marina come chirurgo e pochi mesi dopo lo troviamo nella stazione navale di Marcus Hook, vicino Philadelphia, a trattare pazienti con la febbre gialla. Entrato in contrasto con un collega lo sfidò a duello. Questi si rifiutò e scrisse immediatamente al padre di John. Compiuti ventitré anni, fu la volta di un tale William Cobbett, autore di una satira velenosa contro suo padre. Il vecchio Benjamin dovette intervenire chiedendo ad amici di New York, dove Cobbett viveva, per evitare che John lo raggiungesse per ucciderlo. Nel dicembre 1802, il turbolento giovane lasciò la Marina e tornò a casa per riprendere gli studi di medicina. Nel 1804 si laureò discutendo una tesi sulle cause di morte improvvisa e i mezzi per prevenirla. L’anno dopo, nonostante il padre fosse contrario, John si arruolò nuovamente in Marina prendendo il comando di diverse cannoniere, prima nell’area di Boston e poi a New Orleans. Qui si svolse il duello fatale con l’uccisione del tenente Turner, suo amico che aveva sfidato a seguito di un’osservazione reputata offensiva. A seguito di una indagine, dalla quale fu completamente scagionato, nel 1809, un certo dottor Heap, preoccupato per le azioni di John e desideroso che John tornasse a Philadelphia dove avrebbe potuto godere dell’attenzione e delle cure di suo padre, insieme al collega Amos A. Evans, altro chirurgo navale, scrissero a Benjamin Rush : “La tua conoscenza dell’anatomia della mente umana ti consentirà di fare per lui più di quanto potrebbe fare qualsiasi uomo sulla terra”. Anche un tal Comandante Porter lo informò che : “la situazione di suo figlio al momento è deplorevole. Egli è stato ed è attualmente in uno stato di follia; per il fatto di aver cercato più volte di colpire il chirurgo e altri in ospedale, oltre che se stesso, è stato necessario rinchiuderlo ed è stata fatta ogni perquisizione per privarlo di quelle armi che potessero permettergli di ferire se stesso e gli altri. Questa ricerca non è stata efficace in quanto ha trovato il modo di nascondere un rasoio, con il quale stamattina ha attentato alla sua vita ed è con la massima preoccupazione che sono costretto a dirle che è incerto se sopravvivrà al danno che si è fatto”. Contemporaneamente John Syng Dorsey di Philadelphia, uno degli eroi non celebrati della chirurgia americana, il primo a eseguire la legatura dell’arteria iliaca esterna per un aneurisma massiccio all’inguine destro, gli scrisse un’altra lettera “Caro Dottore, John Rush dal 15 dicembre è pazzo e ha fatto diversi tentativi di autodistruggersi. Questa è la terza volta che lo tengo sotto la mia cura dal mio arrivo in questo luogo. Nell’ottobre scorso ha avuto un attacco simile al presente. Tuttavia si è ripreso in pochi giorni. La grande incertezza della sua guarigione mi induce a desiderare che possa essere inviato a Philadelphia per poter trarre i vantaggi della sua attenzione. Il nostro ospedale, infatti, non è in alcun modo calcolato per le persone nella sua situazione”. John venne così ricoverato al Pennsylvania Hospital, diretto dal padre e fu uno dei 66 pazienti ammessi in quell’anno. Quasi tutti, lui compreso, erano classificati come lunatici. In armonia con il suo concetto unitario di malattia, Benjamin Rush guardava le malattie mentali come un problema psicosomatico. Pensava che tutte le patologie fossero causate da movimenti irregolari nelle arterie; da qui i suoi trattamenti vigorosi e stravaganti, con una forte prevalenza del salasso. Per Rush la causa di una malattia era sempre da ricercare nell’organizzazione del corpo, nella sua reattività, nei tipi e nei punti di forza degli stimoli nell’ambiente, inclusi tutti i tipi di fattori psicologici. Egli credeva anche al ruolo svolto dall’ereditarietà, e studiava malattie emotive quasi simultanee e simili in coppie di gemelli separati dalla nascita. Fattori ereditari nella famiglia Rush non risultavano evidenti, ma c’era un debole sospetto su suo fratello maggiore James, che “era stato afflitto da una malattia nervosa, per la quale i medici consigliarono una vita di mare. Egli ne era perfettamente guarito, ma morì a ventuno anni per una febbre gialla presa pochi giorni prima in Giamaica”. Nel caso specifico di John, suo padre faceva risalire la causa della malattia più nelle circostanze della sua vita e del suo comportamento. A suo avviso, la colpa principale era stato il duello e il suo sfortunato epilogo. Scrisse: “L’angoscia e il rimorso che seguirono a questo evento lo privarono della ragione…” e ancora: “Se i fautori del duello potessero sbirciare nella cella del mio povero ragazzo, arrossirebbero per la loro stupidità e follia nel difendere una pratica e nel mitigare un crimine che ha reso un giovane promettente infelice per la vita e coinvolto nella sua miseria un’intera famiglia che lo amava”. Cosa successe a John Rush dopo che venne ospedalizzato? In pochi mesi, secondo il padre, John migliorò molto non solo nell’aspetto, ma anche nella salute mentale. Sebbene fosse ancora tenebroso, egli accettò di essere rasato e vestito e usciva a passeggiare nel giardino dell’ospedale. Il padre scrisse tante lettere, al figlio James e a Thomas Jefferson nelle quali raccontava i miglioramenti di John. Benjamin Rush non seppe mai l’esito del caso di suo figlio perché morì il 19 aprile 1813, mentre, così come lui stesso aveva previsto non lasciò mai l’ospedale, trovandovi la morte a 60 anni.