Aloe, la pianta dell’immortalità

Poche piante godono di una fama così ampia e duratura come l’aloe. Ma insieme a certezze che provengono dai laboratori di tutto il mondo si nascondono residui di miti e tradizioni millenarie.

di Giorgio Re

L’aloe è una pianta che negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere per l’abbondante mole di informazioni che ci sono state fornite dai giornali e soprattutto dai produttori. Notizie che non sempre coincidono fra loro, a partire dal numero delle piante che apparterrebbero alla famiglia delle Liliacee Aloe che, a seconda delle fonti, sarebbero fra 200 e 400. Fra queste una cinquantina vengono usualmente proposte con le stesse funzioni terapeutiche ma solo 4 o 5 sono state studiate a sufficienza. Per non dire dei tanti modi in cui viene chiamata, in onore dei botanici che l’hanno descritta: aloe vulgaris (Lamarck) o barbadensis o vera (Miller), ma anche Socotrina, Perryi, Ferox, Percrassa, Schimperi, Abysinica. Anche l’origine è combattuta: per molti sarebbe africana, per altri proviene dalle Indie occidentali, dal mar dei Carabi (in particolare dalle Barbados da cui il sinonimo Barbadensis) o dall’Arabia. La realtà è che la pianta cresce bene nelle regioni tropicali, in terreni sabbiosi e aridi, caratterizzati dalla siccità, in quanto trattiene l’acqua piovana per lunghi periodi e ciò le permette di resistere a lungo.

I primi riferimenti terapeutici risalgono a oltre 5.000 anni fa e provengono dal Papiro di Ebers in cui viene chiamata Pianta dell’Immortalità. Sembra che Re Salomone se la coltivasse personalmente a fini terapeutici. Nella Grecia antica si usava insieme a Mirra e Rosmarino per rinforzare i denti. Dioscoride la descrive nel suo erbario medico (68 a.C.) e racconta che il corpo di Cristo fu cosparso con Aloe e Mirra. Plinio la suggerisce per verruche, condilomi, tumori cutanei, emorroidi e per tutte le patologie dell’intestino. Ma le tradizioni relative a questa pianta vanno ben oltre il bacino del Mediterraneo. Le popolazioni dei Pellerossa nord-americani la utilizzavano come ringiovanente, per i Maya serviva a nutrire i neonati. Gli Zulu’ africani le riconoscevano un’azione antiparassitaria, disinfettante e cicatrizzante, analoghe prescrizioni si ritrovano su una tavoletta d’argilla sudamericana risalente al 2100 a.C. Più recentemente si racconta che Gandhi attribuisse la resistenza della sua salute, oltre alla fede mistica, all’abitudine di nutrirsi di aloe. Molta più certezza si ha sulle parti della foglia utilizzate a seconda del fine terapeutico: dai tubuli pericilici esterni posti al di sotto dell’epidermide fogliare si ottiene un succo condensato ricco in Antrachinoni.

Dalle parti parenchimatose centrali della foglia un gel che contiene Acqua, polisaccaridi, enzimi, fitormoni, acidi organici. Lunghissimo l’elenco di sostanze attive presenti, che variano in quantità anche a seconda della provenienza: antracenici liberi o legati a fattori glicosidici, aloina (antibiotico naturale e lassativo drastico) acido aloeico(antibiotico), emodina (battericida). Più recentemente è stato identificato un polimero mannano a catena lunga cui sarebbero dovute le funzioni terapeutiche non lassative. Inoltre ci sono enzimi (fosfatasi alcalina, amilasi, bradichinasi, catalasi, cellulasi, creatina fosfochinasi, lipasi, nucleotidasi, proteolitiasi), acidi grassi polinsaturi, amminoacidi essenziali (Isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, valina e secondari: aspartico, glutammico, alanina, cistina, arginina glicina, istidina, idrossiprolina, prolina, serina, tiroxina) oltre a mono e polisaccaridi: cellulosa, glucosio, l-ramnosio; e minerali: potassio, ferro, calcio, fosforo, sodio, magnesio, manganese, rame, zinco, cromo e vitamine: B, C, E,A. è forse proprio per la ricchezza della sua composizione che l’aloe è stata sempre considerata una pianta quasi miracolosa, da utilizzarsi in numerose condizioni e patologie. Oggi però sappiamo che il campo dove l’aloe vera ha dimostrato una comprovata efficacia è la pelle. Circola un aneddoto secondo cui il suo impiego moderno negli Stati Uniti risalirebbe al 1942 quando un ingegnere chimico, tale Rodney Stockton curo’ una grave ustione dovuta al sole della Florida con una polpa gelatinosa estratta dall’aloe vera. Proseguì le ricerche e riusci’ a stabilizzare il gel (per evitarne l’ossidazione). Dagli anni ‘50 sono cresciute le ricerche sul suo impiego in dermatologia, in particolare nella cura delle ustioni. Attualmente è comunemente utilizzata per curare escoriazioni, cicatrici, scottature ed eritemi solari, ragadi, ma anche come idratante per migliorare pelli secche, arrossate e screpolate.