di Fabio Fantoni
Il problema della obesita’ è legato allo stimolo della fame. Illusorio credere all’esistenza di uno specifico interruttore
Chi decide di fare una dieta dovrebbe riflettere di più su due concetti che sembrano scontati ma sono, invece, molto più complessi di quello che sembrano. Ci riferiamo alla fame e alla sazietà, due aspetti del problema che stanno alla base del nostro rapporto con il cibo e con il peso corporeo. Fino a qualche anno fa, gli studi sulla fisiologia della nutrizione degli animali da esperimenti avevano portato a credere che nel cervello, anche dell’uomo, a livello dell’ipotalamo ci fossero due centri distinti coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare: il centro della fame e quello della sazietà. Su cui si potesse agire direttamente tramite una molecola specifica. Ora si è scoperto che il quadro è molto più complesso e alla modulazione dell’appetito e del senso di pienezza concorrono, con funzioni biologiche diverse, numerosi nuclei cerebrali, al cui interno coesistono diversi tipi di neuroni, interconnessi fra loro, alcuni stimolanti e altri inibenti il desiderio di alimentarsi. Altri centri coinvolti si trovano in aree diverse del cervello e questo ha modificato l’ipotesi, per cui non si va più alla ricerca del nucleo specifico per fame o sazietà, ma gli studi si sono orientati verso i neuromediatori, ovvero quelle sostanze che mantengono i rapporti fra i vari elementi di questo complesso sistema che risulta composto da componenti metaboliche, endocrine, psicologiche e gustative.
Dalla periferia arrivano al cervello continue informazioni sullo stato nutrizionale dell’organismo: quando le riserve energetiche si riducono il sistema nervoso centrale reagisce stimolando una maggiore assunzione di cibo, mentre avviene il contrario quando l’energia disponibile è in eccesso rispetto alle esigenze metaboliche. Anche il fegato agisce da sensore metabolico che invia sue informazioni al cervello mentre è ben nota la funzione svolta dal pancreas con la sua produzione di insulina. E fra le ultime arrivate molto è stato scritto su una molecola nota come leptina, un ormone prodotto dallo stesso tessuto adiposo, cui si è attribuito, per anni, un importante ruolo nella patogenesi dell’obesita’ umana. Consapevoli che il discorso potrebbe diventare troppo complesso, accontentatevi di sapere che la leptina è solo uno dei fattori endocrini su cui si è concentrata, negli anni, l’attenzione degli studiosi, pronti a puntare il dito su molecole quali l’insulina, il cortisolo, la prolattina, gli ormoni tiroidei, la calcitonina, il Tumor Necrosis Factor a, o anche su una glicoproteina non ancora ben conosciuta cui è stato dato il rassicurante nome di sazietina. Mentre, se si passa a guardare nella schiera dei neurotrasmettitori, i nomi che ricorrono maggiormente sono la serotonina, il neuropeptide Y, dopamina, istamina, acetilcolina e acido glutammico, oppioidi, galaninail glucagon-like peptide-1, neurotensina, xenina, bombesina e un recente gruppo di ormoni le cui sigle popolano come fantasmi i sonni di tutti i nutrizionisti del mondo (CCK, CHR, GHRH, PACAP, CGRP, CART). Da non dimenticare l’importanza della glicemia, il livello di zuccheri nel sangue, la cui variazione in fase di digiuno sarebbe, almeno in parte, responsabile dell’appetito. A tutto ciò vanno aggiunti i fattori strettamenti nervosi legati alla vista, all’odore e persino al ricordo di un cibo di cui si è particolarmente golosi, con il coinvolgimento di aree della corteccia cerebrale. Gli scienziati hanno dimostrato quello che tutti noi sappiamo da sempre: i cibi con un gusto dolce più spiccato, tipico dei carboidrati, sono quelli più graditi e che, alla sola vista, stimolano maggiormente la fame. Senza dimenticare che il gusto è il risultato di una integrazione di complessi stimoli olfattivi, gustativi e tattili.
Una informazione importante su cui si basano molte diete dissociate: quando si è sazi per aver consumato in abbondanza un unico cibo, la riduzione del desiderio non si estende ad altri alimenti diversi. Da cui ne deriva che, quando la dieta si basa su un solo tipo di cibo la quantità totale consumata dovrebbe essere inferiore rispetto a quando si offre un pasto composto da più alimenti diversi. In altre parole: nei pasti costituiti da molte piccole portate si tende a mangiare di più rispetto a quando è disponibile una sola portata, anche se abbondante. Per finire, un forte segnale di sazietà viene dalla distensione delle pareti gastriche e questo meccanismo è alla base dell’effetto terapeutico degli interventi chirurgici di restrizione gastrica per il trattamento dell’obesita’. Senza voler entrare nell’argomento non si deve infine dimenticare che su sazietà e appetito influiscono anche fattori genetici, l’esercizio fisico, condizioni particolari quali la gravidanza e l’allattamento, e i fattori climatici: si mangia di più alle basse temperature e meno in condizioni di caldo e umidita’ ambientale. Quanto precede, nella sua veloce disamina, diventa fondamentale per capire come sia illusorio pensare di poter intervenire sull’appetito o per provocare un senso di pienezza solo intervenendo su uno dei fattori in gioco. E come sia riduttivo considerare possibile d’intervenire su quello che spesso, di volta in volta, la stampa identifica come l’interruttore della fame, facendo credere che spegnendolo così come, più semplicemente siamo abituati a fare con la luce di casa, si sara’ in grado di risolvere un problema così complesso come quello dell’obesita’.