L’aumento delle infezioni da batteri multiresistenti impone l’attenzione alla scelta dell’antibiotico e per le strategie con cui ridurre il rischio.
E’ il paradosso della farmacologia: la ricerca identifica nuove molecole, ma il numero degli antibiotici approvati è costantemente in calo. È innegabile che gli antibiotici costituiscano una delle più potenti armi per contrastare le infezioni, nuove e riemergenti, che nel mondo colpiscono milioni di individui, ma gli analisti ritengono che per i prossimi cinque, sette anni non ve ne saranno di nuovi. Ciò pone una sfida a tutti i medici, non esclusi i dermatologi, che devono anche affrontare il fenomeno crescente delle resistenze batteriche proprio ai più comuni antibiotici. È ormai accertato che ogni ricorso a un antibiotico può indurre una pressione selettiva nella popolazione dei batteri che si vuole combattere, che determina da un lato l’aumento della resistenza, dall’altro l’eliminazione di una parte dei batteri stessi. I più noti ceppi di batteri divenuti resistenti sono: lo Staphylococcus aureus resistente alla Meticillina (MRSA), alla Vancomicina (VRSA), i beta-lactamase ad ampio spettro (ESBL), l’Enterococcus resistente alla Vancomicina (VRE) e A. baumannii resistenti a molti farmaci (MRAB). Anche i virus, i funghi, e i parassiti possono però diventare resistenti ai farmaci cui erano precedentemente sensibili.
L’aumento della resistenza ai farmaci antimicrobici ha spesso come conseguenza l’aumento della loro virulenza. Talvolta i pazienti più piccoli e immunocompromessi possono aver bisogno di essere ospedalizzati per ricevere cure più forti rispetto a quelle che potevano bastare all’inizio di una infezione più semplice. A base di antibiotici più forti perché alla patologia iniziale possono accompagnarsi delle complicazioni più severe. Un esempio è dato proprio dallo Staphylococcus aureus divenuto resistente alla Meticillina (MRSA), un ceppo batterico ormai insensibile a diversi tipi di penicillina, che può provocare un aggravamento delle lesioni cutanee, finanche una polmonite, e deve essere contrastato con un antibiotico molto forte quale la vancomicina. Anche una TBC resistente a più farmaci è una condizione molto difficile da trattare perché è causata da microrganismi ormai insensibili a 2 degli antibiotici di prima scelta in grado di curare la tubercolosi. Ricercatori della Università di Exeter e di Kiel hanno inaspettatamente scoperto che la velocità di evoluzione della resistenza dell’ E. coli è direttamente legata alla potenza degli antibiotici usati e ciò sarebbe dovuto alla eliminazione di quelli non resistenti che lasciano migliori condizioni per riprodursi più velocemente. Per questi motivi, dalle Organizzazioni Internazionali arriva la raccomandazione di non dimenticare mai il rischio che nella propria pratica quotidiana si possa inconsapevolmente favorire la resistenza agli antibiotici, con prescrizioni e comportamenti poco attenti sia nei riguardi di infezioni causate da bacilli Gram negativi, che da cocchi Gram positivi. Per non parlare dei microrganismi responsabili delle infezioni ospedaliere il cui tasso è sicuramente più alto per l’elevato consumo di antibiotici; perché molti pazienti presentano affezioni multiple; perché è alto il ricorso ad accessi vascolari invasivi o alla ventilazione meccanica; per misure d’igiene insufficienti; e con prevalenza in reparti in cui si svolgono cure intensive.
I principali germi responsabili di infezioni contratte in questi ambienti sono i Cocchi Gram positivi, come gli Stafilococchi coagulasi negativi, Staphylococcus aureus e gli Enterococchi, ma anche i germi Gram negativi come Pseudomonas aeruginosa, Enterobatteri; Klebsiella pneumoniae e diverse specie di Candida. Credere però che l’insorgere della resistenza batterica sia limitabile alla trasmissione di germi divenuti resistenti da paziente a paziente, oppure allo sviluppo di serbatoi di germi resistenti in ambito ospedaliero, è un errore che potrebbe rivelarsi fonte di problemi, perché la resistenza è legata in primis al cattivo uso di antibiotici topici e sistemici. È innegabile, infatti, che la scelta e la prescrizione di un trattamento antibiotico adeguato riducano al minimo le probabilità di sviluppare in seguito resistenza. Se si opta, invece, per un regime antibiotico iniziale efficace solo contro una classe di patogeni, oppure per un agente antibiotico contro il quale il germe patogeno è già resistente, i rischi aumentano. Spesso è proprio l’abitudine a prescrivere gli stessi antibiotici, considerati efficaci e sicuri, per ogni patologia infettiva e più volte allo stesso paziente che dà inizio alla resistenza. Ciò capita di più con antibiotici a largo spettro. In generale, è difficile riconoscere le sovrainfezioni cutanee da parte di germi patogeni resistenti, che richiedono ulteriori esami, trascurati nel caso di lesioni semplici e non preoccupanti. Nell’ambito della dermatologia il caso più eclatante è la gentamicina, antibiotico amminoglicosidico, ad ampio spettro, prodotto da Micromonospora purpurea, attivo contro batteri Gram positivi e Gram negativi. In Italia è venduta in crema per applicazione topica ed è, da decenni, fra le formulazioni farmaceutiche più consigliate dai medici di base e acquistate direttamente in farmacia dalle famiglie dei pazienti.La gentamicina si usa in maniera quasi incontrollata ogni volta si manifesti infiammazione cutanea, impetigine, follicolite, o anche come protezione in caso di lesioni a rischio d’infezione. Pochi, però, ricordano che molti batteri anaerobi sono diventati resistenti ad essa: in primo luogo gli Streptococchi e gli Enterococchi. I batteri instaurano questa resistenza tramite 3 meccanismi: il primo determina l’inattivazione enzimatica dell’amminoglicoside e la resistenza si sviluppa attraverso la trasmissione di plasmidi mediante coniugazione batterica. I plasmidi controllano la produzione di enzimi localizzati sulla membrana batterica, lì dove si crea il legame per il trasporto attivo dell’antibiotico, e questi enzimi sono in grado di acetilare i gruppi amminici oppure fosforilare o adenilare i gruppi idrossilici, provocando l’inattivazione della gentamicina. Col secondo meccanismo si selezionano batteri mutanti in cui è diminuita la permeabilità della membrana cellulare batterica, mentre il terzo meccanismo prevede resistenza dovuta ad alterazioni delle proteine ribosomiali bersaglio.
Oggi sono resistenti alla gentamicina ceppi di Pneumococchi, Rickettsiae, micobatteri, funghi, lieviti, virus, ceppi di Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella, Serratia e Proteus. Epidemie di infezioni antibiotico-resistenti sono state causate dall’uso indiscriminato di gentamicina topica, portando alla sua esclusione da molte farmacie ospedaliere (Koning S, van der Sande R, Verhagen AP, van Suijlekom-Smit LW, Morris AD, Butler CC, Berger M, van der Wouden JC. Interventions for impetigo. Cochrane Database Syst Rev 2012; 18: CD003261). La resistenza si manifesta in forma crociata con neomicina, kanamicina e tobramicina. Diverse le strategie per ridurre il rischio di resistenze anche in ambulatorio: minor ricorso agli antibiotici, igiene di mani e ferite, modalità e frequenza nel cambio delle medicazioni. In aiuto vengono l’anamnesi dei pazienti, specie se allergici, e la storia di effetti secondari indotti, mentre i farmacisti non dovrebbero consegnare antibiotici sulla base di vecchie prescrizioni. Il cambiamento programmato e la rotazione del regime antibiotico secondo un programma prestabilito, riducono la pressione selettiva e evitano quindi lo sviluppo di resistenze. Gli antibiotici prescritti per il trattamento di alcune affezioni cutanee dovrebbero venire riutilizzati solo dopo alcuni mesi di astinenza preservandone in tal modo l’efficacia. Anche la combinazione di antibiotici non deve includere solo molecole della stessa classe che potrebbero prevedere gli stessi meccanismi di resistenza. In uno studio pubblicato nel 1999, Gerding e coll. hanno dimostrato, grazie all’alternanza di più antibiotici, una riduzione significativa della resistenza alla gentamicina se veniva usato un altro antibiotico, ma un rapido ritorno ai livelli precedenti non appena la gentamicina veniva reintrodotta in maniera massiccia. Ma come identificare i soggetti a rischio di essere portatori o infettati da germi resistenti? I fattori da considerare sono: precedente e ripetuto ricorso a trattamenti con formulazioni antibiotiche iniziali a largo spettro; eventuali ricoveri ospedalieri; esperienza di applicazione di materiale medico invasivo, tipo sonde urinarie; ritardo nella guarigione delle lesioni cutanee sovrainfettate nonostante le cure topiche. Nell’eventualità di un sospetto, l’esame microbiologico permette il trattamento più adatto non appena l’agente responsabile dell’infezione sia stato identificato.