del dott. Matteo Cagnoni, Presidente IRDEG
Staminali, fattori di crescita e antiossidanti combinati per combattere lo stress ossidativo e rallentare i processi di invecchiamento cutaneo
Le strategie atte a contrastare l’invecchiamento cutaneo, nel terzo millennio, non possono prescindere da una collaborazione sinergica fra varie discipline, tenendo conto anche di fattori determinanti come genetica e stile di vita. Nessun organo rivela i segni dell’invecchiamento come la pelle. Macchie di pigmento, rughe, colorito spento e ingiallito, lassita’ tissutale, ci fanno apparire “vecchi”. Nell’epoca della medicina anti-aging e del wellness la cura e la protezione della propria pelle rappresenta perciò uno dei desideri più diffusi. Va da sè che un aspetto gradevole garantisce l’autostima facendoci sentire “bene” all’interno della nostra “pelle”.
Se oggi è stimato che il problema dell’invecchiamento cutaneo viene affrontato da 250.000 italiani (di cui uno su cinque è uomo) con il bisturi, è altrettanto vero che una recente ricerca condotta su 15.000 persone ha evidenziato che, al contrario, due italiani su tre cercano una soluzione più naturale, più soft al problema: la ricerca del natural look, un nuovo trend che permette di soddisfare un corretto e sano desiderio di vedersi più in forma e di apparire più giovani senza scivolare in quella che gli americani chiamano aesthetic-holic o dipendenza estetica. Non più delle “Barbie” quindi, non più connotati stravolti, visi tutti uguali, ma un approccio estetico delicato ed elegante che si avvalga di varie opzioni terapeutiche. Non va dimenticato che la bellezza, concetto sul quale i filosofi dissertano da più di tremila anni, può essere concepita come l’armonia delle imperfezioni. Per molti, oggi, il corpo è diventato un oggetto che si può, e spesso si deve, perfezionare. Esso non appare più come un elemento “dato” ma come un “qualcosa” che può essere modellato a piacimento seguendo i modelli visivi e mentali prodotti dalle riviste, dal cinema, dalla televisione e dalle stesse interrelazioni sociali. Uomini e donne non aspirano più, come accadeva sino agli anni ’50 e ’60, a vestirsi come i divi che ammiravano, ma a diventare, grazie alla chirurgia estetica, proprio come loro: corpi postmoderni accompagnati da fantasie di modificazione di sè! Fortunatamente questa “addicted generation” schiava della dipendenza estetica, in Italia rappresenta una minoranza. Gia’ da qualche tempo un messaggio culturale importante ha ridimensionato questa rincorsa ossessiva al ritocco, riportando un certo equilibrio nell’approccio al ringiovanimento. In fondo il desiderio di rallentare l’invecchiamento cutaneo è naturale ed è insito in ognuno di noi: non bisogna pero’ farsene una malattia.
Non si può pensare di riportare all’origine l’architettura di un viso che con il passare degli anni è inevitabilmente cambiata. Oltre al rilassamento della cute e alla comparsa delle rughe, nel volto si attua anche un riassorbimento osseo che cambia evidentemente le proporzioni geometriche del viso. è per questo che oggi più che mai risulta attuale e azzeccatissimo il celebre aforisma di Mateo Alema’n “la giovinezza non è una stagione della vita ma è uno stato mentale”. Sappiamo tutti molto bene che con il passare degli anni la nostra pelle va incontro a delle modificazioni che si traducono in un progressivo e lento mutamento dell’aspetto esteriore. Dopo i 30 anni la pelle inizia a perdere la sua capacità di trattenere acqua. A partire dai 40 poi, come conseguenza di una serie di alterazioni genetiche, il tessuto connettivo diviene meno elastico, si degradano collagene ed elastina con perdita di sostegno e di tonicita’ della pelle. Cominciano così ad affiorare le prime rughe. Dopo i 50, la pelle subisce ulteriori alterazioni: il legame della giunzione dermo-epidermica diventa meno saldo, si riduce la densita’ della cute che si disidrata e si rilassa. L’ovale del viso di conseguenza tende a perdere il suo contorno netto. Un altro elemento da considerare è poi il mio-invecchiamento: i continui movimenti dei muscoli facciali (ricordiamo che i muscoli mimici, detti pellicciai, sono 54) attivano delle forze di tensione che provocano con il passare del tempo delle alterazioni nel derma.
Cio’ accade principalmente nelle aree del volto più sollecitate dai muscoli facciali, dove vengono trasmesse le tensioni muscolari: area perioculare, fronte, spazio intra-sopraccigliare e a livello naso-labiale. Ridere, aggrottare le sopracciglia, masticare, stringere gli occhi, sorridere e tante altre espressioni che scandiscono la vita quotidiana, se da una parte caratterizzano una personalita’ dall’altra azionano il meccanismo di formazione delle prime rughe. Un dato di più recente acquisizione è che il primo fattore che regola e determina la qualità di invecchiamento cutaneo è quello genetico: la predisposizione genetica riveste un ruolo essenziale nel dare un certo ritmo al fenomeno dell’aging cutaneo, talvolta a dispetto di impegno e sacrificio. Si possono vedere persone ancora giovani con visi estremamente segnati e precocemente invecchiati nonostante abbiano sempre adottato un’accurata manutenzione cosmetica, una rigorosa fotoprotezione e abbiano azzerato qualsiasi altro tipo di fattore ambientale in grado incidere in negativo. Al contrario, vi sono rari casi molto fortunati in senso genetico, che di generazione in generazione mostrano una pelle invidiabile anche in età avanzata, pur non avendole, nel corso della vita dedicato particolari attenzioni. Oggi pero’, mediamente, anche lo stile di vita è considerato un fattore estremamente importante nell’ottica di rallentare il più possibile l’invecchiamento cutaneo. Lo stile di vita può influenzare notevolmente lo spostamento dell’ago della bilancia. La pelle rivela ogni segreto e i ”peccati” lasciano traccia. Un’alimentazione non corretta (che genera dannosi fenomeni infiammatori), vita sedentaria, fumo, abuso di alcool, poco sonno, concorrono non poco a invecchiare precocemente un viso.
A questo riguardo, un altro aspetto emergente di cui ultimamente si parla è la “urban face o pelle da inquinamento metropolitano”, che segnala un incremento di patologie cutanee di natura irritativa, allergica e altro e che si è visto essere in gran parte provocate dall’inquinamento presente in molte citta’. Si tratta di una pelle modificata e danneggiata dagli inquinanti presenti nelle grandi aree metropolitane, generalmente rappresentati da monossido di carbonio, ossidi di azoto, diossido di zolfo, composti organici volatili, polveri sottili e supersottili. Queste sostanze costituiscono un vero e proprio cocktail di veleni che compromettono l’equilibrio cutaneo. Le polveri sottili si depositano sulla cute e alterano la funzione di barriera con conseguente disidratazione. Esse scatenano la produzione di radicali liberi che accelerano il processo di invecchiamento cutaneo e di molecole reattive che provocano prurito, secchezza, ipersensibilità e cambiamento del colorito cutaneo con la prevalenza di un aspetto ingiallito. Le polveri sottili che si depositano sulla superficie cutanea penetrano lentamente in profondita’: i pori si ostruiscono, si riduce l’ossigenazione e la pelle si carica di impurita’ diventando spenta ed opaca. La “pollution”, come la chiamano gli anglosassoni, è responsabile quindi di molti quadri patologici della cute: questa patina di veleni lasciata dallo smog sulla pelle determina poi una risposta da parte del sistema immunitario che produce una iperattivita’ cutanea. Il corrispettivo interno a questi aspetti si può tradurre con un solo termine: stress ossidativo. Nessuno può più negare che il rapporto fra infiammazione e invecchiamento si riflette ovviamente anche sulla pelle. Lo stress ossidativo è la conseguenza della produzione nell’organismo di radicali liberi dell’ossigeno che sono i principali responsabili dell’invecchiamento cellulare.
Un esempio curioso, indotto evidentemente da uno stato di inevitabile e comprensibile stress emotivo, è quello accaduto in poche settimane al presidente degli Stati Uniti: dopo soli 44 giorni di presidenza, lo stress ossidativo ha provocato un danno a livello follicolare e i capelli da neri sono diventati grigi. A mio parere, un corretto approccio globale quindi, mirato a contrastare efficacemente il processo di invecchiamento, può essere programmato nel seguente modo: 1) Ossigenoterapia per il marcato effetto antiossidante rivitalizzante prodotto sulla pelle: 4-6 sedute alla settimana saranno sufficienti per riattivare il microcircolo cutaneo e rendere la pelle idratata, luminosa e turgida; 2) Biostimolazione per aumentare il turgore, la luminosità, la tonicita’ e l’elasticita’ cutanea mediante microiniezioni di vitamine, acido ialuronico, estratti di placenta, polinucleotidi. La biostimolazione è un trattamento indicato dai 30 anni in su; 3) Innovative strategie a base di fattori di crescita ottenuti dal plasma (PRP), nuova frontiera dell’antiaging. Questa tecnica rigenerativa rende la pelle compatta, tonica e luminosa. Secondo la mia esperienza è decisamente più efficace dei comuni trattamenti rivitalizzanti, il rilascio da parte dei fattori di crescita contenuti nelle piastrine stimola infatti le cellule staminali a rigenerare nuovo tessuto con un’azione antiaging intensa e duratura. Le sedute vanno ripetute ogni due mesi per un totale di 4-6 sedute; 4)Biomateriali (preferibilmente acido ialuronico) utilizzati per il riempimento delle rughe o l’aumento dei volumi del volto (labbra, zigomi) iniettati con la nuova tecnica che si avvale dell’utilizzo di microcannule. Queste, dotate di punta smussa e flessibile, permettono un trattamento più completo (full face) con minori effetti collaterali e minor disagio del paziente. A fianco di questi trattamenti scarsamente invasivi io tendo ad abbinare una dieta ipocaloricapovera di carboidrati, attivita’ fisica costante e l’assunzione quotidiana di un pool giornaliero di antiossidanti. Non va infatti dimenticato che per soddisfare con il solo cibo un elevato bisogno di vitamine occorrerebbe mangiare tutto il giorno. Ecco quindi che il fabbisogno giornaliero va integrato con le pillole. Ma qual è il fabbisogno quotidiano di antiossidanti? Per alcuni antiossidanti è solo stimabile. In Italia esiste la “RDA o dose giornaliera raccomandata” che si riferisce a una quantità standard che esclude i casi in cui si soffra di carenza di un determinato principio nutritivo. è tuttavia probabile che a queste quantità non si sia così protetti dai radicali liberi e dalle malattie della società del benessere. Per l’acido lipoico e per il Coenzima Q10 non vengono addirittura raccomandate dosi giornaliere. Per quanto riguarda la vitamina C vengono suggeriti 100 milligrammi al giorno: tale quantità, che in condizioni normali può sembrare ragionevole, diviene pero’ insufficiente quando si pensa che in una ora di stress ne vengono consumati più di 500 milligrammi. Ancora oggi quindi non è possibile parlare di dosi raccomandate, tanto più se si considera che le singole sostanze protettive si completano e amplificano a vicenda.
Il discorso relativo agli antiossidanti è importante poichè, se non vengono assunti in combinazione, l’effetto “scavenger” sui radicali liberi è modesto. In generale, la “squadra vincente” è da ritenersi infatti vitamina C, vitamina E, acido lipoico, Coenzima Q10, selenio e zinco. Negli ultimi decenni si è imparato molto sulle sostanze antiossidanti. Si è così capito che le sostanze “solitarie” possono portare in un vicolo cieco. Se non sono disponibili contemporaneamente più antiossidanti che si rigenerano a vicenda, si corre infatti il rischio che la sostanza “solitaria” nella caccia ai radicali liberi diventi essa stessa un aggressore. Assumendo la giusta combinazione, invece, si attiva una sorta di “staffetta” che permette, ogni volta che un singolo antiossidante, dopo avere eliminato una certa quantità di radicali liberi ha esaurito le sue risorse, l’intervento di un altro antiossidante che gli consente il tempo di recupero e così via.
Se la quantità di radicali liberi è difficile da dosare perché sono estremamente veloci nel loro attacco ai materiali biologici, oggi grazie ai grassi e alle proteine del sangue si possono pero’ quantificare i danni provocati. è infatti possibile misurare il livello di stress ossidativo mediante un’analisi del sangue (bastano poche gocce di sangue): il test è un metodo di misurazione diretto a determinare la quantità totale di lipoperossidi ed idroperossidi (PerOx-Assay) che si formano nel sangue mediante l’ossidazione degli acidi grassi compiuta dai radicali liberi. Si osserva così una correlazione fra le particelle dannose e la quantità di perossidi. Un altro prodotto dello stress ossidativo presente nell’organismo e dosabile nel sangue, che si origina durante l’attacco portato dai radicali liberi ai grassi, è la malondialdeide (MDA). Questa breve review delle possibili stretegie che oggi sono a disposizione dei medici, rappresenta il sunto di una esperienza personale e di tanti altri colleghi, ma alla luce delle continue scoperte e innovazioni è destinata ad arricchirsi continuamente nel tempo.