La ricerca sta lentamente scoprendo i meccanismi biologici che sottendono alle malattie autoimmuni. Ma è ancora lontana la cura definitiva
di Giorgio Re
Il sistema immunitario a volte ci tradisce. Scatena, infatti, a causa di un suo malfunzionamento una serie di malattie, definite autoimmuni, per cui vengono attaccate cellule sane dell’organismo. Il risultato è una lenta e inesorabile degenerazione del nostro corpo. Denominatore comune delle patologie autoimmuni è uno stato infiammatorio cronico del tessuto colpito, che varia a seconda della malattia. Purtroppo la comparsa è subdola e spesso provoca danni irreversibili prima ancora che possa essere diagnosticata. Lo squilibrio che nasce può infatti determinare uno spettro di disturbi che vanno dal diabete di tipo 1 all’alopecia. La spiegazione più semplice è che per ragioni che ancora sfuggono alla conoscenza scientifica, in certi soggetti, soprattutto in situazioni di emergenza, i linfociti perdono, temporaneamente o definitivamente, la capacità di distinguere fra bene e male, fra self e non self; di conseguenza, aggrediscono alcune normali cellule dell’organismo confondendole come estranee. E’ ormai riconosciuto che le malattie autoimmuni sono numerose, cambiano solo di nome e di gravità a seconda della cellula (o dell’organo) che è bersaglio dei linfociti aggressori. Per gli sfortunati pazienti, al momento attuale non esiste ancora alcuna cura risolutiva: per lo più, ai malati affetti da tali patologie, vengono somministrate terapie sintomatiche, mirate ad alleviare i principali disturbi ma che purtroppo non migliorano il decorso della malattia.
I più grandi laboratori farmaceutici stanno cercando di mettere a punto nuove molecole in grado di inibire specificatamente gli anticorpi responsabili dell’autoaggressione, risparmiando tutte le altre componenti del sistema immunitario. Le cellule che appaiono più sensibili agli attacchi autoimmuni sono quelle che si riproducono più velocemente e fra queste il cheratinocita del pelo, bersaglio principale nel caso dell’alopecia areata, è forse la cellula che si rinnova più spesso nel corpo umano. Questo sarebbe uno dei motivi per cui l’alopecia areata sarebbe più frequente rispetto ad altre malattie autoimmuni, come p.e. la sclerosi a placche, che invece sono relativamente più rare. Diverse ricerche scientifiche si sono interrogate se il cheratinocita sia l’unico bersaglio dell’attacco dei linfociti impazziti giungendo alla conclusione che le malattie autoimmuni non avrebbero mai un unico bersaglio e quello che si manifesta in maniera più evidente è spesso solo un aspetto di una realta’ più complessa. Diviene così fondamentale affrontare gli step successivi alla diagnosi, cercando prima di tutto di valutare quanto la patologia si stia estendendo, ovvero quanto essa sia attiva. Parlando di alopecia areata si sa per certo che statisticamente rappresenta la più comune forma di alopecia non cicatriziale, che si riscontra con uguale frequenza nei due sessi e che l’età preferita d’insorgenza è compresa fra i 20 e i 30 anni. In generale, segno esplicativo a fini diagnostici è la presenza dei cosiddetti “peli a punto esclamativo”, ovvero peli corti e con la parte vicina al cuoio capelluto così sottile da non vedersi quasi.
Per questo fenomeno si è ipotizzato un improvviso blocco delle mitosi dei cheratinociti pilari e della successiva differenziazione delle cellule corticali che porterebbe alla fragilità del fusto e a una rapida riduzione del suo diametro in senso prossimale, fino a un bulbo in telogen più o meno distrofico. Sul piano clinico si distinguono comunemente quattro varianti: la forma in chiazze multiple può interessare il capillizio e/o la barba ed è caratterizzata dalla presenza di aree glabre, di numero ed estensione variabili; la forma ofiasica che interessa elettivamente le regioni temporo-occipitali con possibile estensione all’intero cuoio capelluto; la forma totale su tutto il cuoio capelluto e la forma universale caratterizzata dalla scomparsa di tutti i capelli e dell’intero manto pilare. Nonostante numerose segnalazioni non è facile dimostrare in maniera inoppugnabile se i disturbi psicologici siano causa o conseguenza della malattia: a seconda degli studi si è parlato d’inibizione affettiva, sessuale e sociale, di un’emotivita’ esagerata, di ritardo nello sviluppo affettivo, di una tendenza all’isolamento e della presenza di turbe sessuali. Come accennato, l’alopecia areata spesso si associa a sindromi autoimmuni come l’anemia emolitica autoimmune, il diabete mellito tipo I, il morbo di Haddison o la tiroidite di Hashimoto: nell’ambito cutaneo è relativamente frequente la coesistenza e la famigliarita’ di alopecia areata e vitiligine. E’ particolarmente frequente, inoltre, in corso di alopecia areata, la presenza in circolo di autoanticorpi antitirodei, anche senza evidenti segni clinici di tireopatia: la frequenza di tale sintomo è maggiore soprattutto in donne giovani con alopecia particolarmente severa e a insorgenza precoce. Tra le malattie a probabile patogenesi autoimmune che possono associarsi ad alopecia areata, merita un cenno particolare il riscontro di alcuni casi di celiachia, l’intolleranza permanente al glutine, in pazienti del tutto asintomatici. Tornando agli studi di genetica e biologia molecolare che provano a spiegare le cause più profonde del disturbo, va ricordato uno studio secondo cui la mutazione avverrebbe nel gene AIRE (autoimmune regulator), provocando danni a carico delle ghiandole endocrine (pancreas, surreni, tiroide, paratiroidi) e una suscettibilita’ a infezioni croniche o ricorrenti da funghi altrimenti innocui. E’ stato inoltre osservato da ricercatori del Medical College of Georgia, che hanno pubblicato le loro ricerche in un articolo su Nature Medicine, che la mutazione determinerebbe un difetto nelle cellule INKT, un gruppo di cellule che aiutano il sistema immunitario a combattere le infezioni sopprimendo i linfociti T vaganti e propensi ad attaccare le cellule del proprio corpo.
La scoperta potrebbe portare a nuove strategie per prevenire o curare l’incombere delle malattie autoimmuni. Dalle parole di Qing-Sheng Mi, direttore della ricerca, traspare tanto la soddisfazione quanto una lucida consapevolezza del quadro completo della situazione: il corpo ha la necessita’ di mantenere un attento equilibrio fra l’azione di protezione cellulare esercitata dal sistema immunitario e la sua sopressione. Se esso è troppo aggressivo può indurre l’insorgere di patologie autoimmuni, se invece si limita nell’esercizio della propria attività, il soggetto rischia il cancro. Quello che attualmente sappiamo è che le cellule INKT contribuirebbero a mantenere il giusto equilibrio e che chi soffre di malattie autoimmuni potrebbe non avere un corredo abbastanza ricco di queste cellule funzionalmente efficiente. In futuro la ricerca ci portera’ sicuramente a chiarire questi e altri aspetti ancora misteriosi, nel frattempo pero’ ai soggetti affetti da alopecia areata si potranno prospettare solo trattamenti sintomatici e supporti di natura psicologica. Cercando di aiutarli a superare e gestire la loro frustrazione.