di Marisa Paolucci
Questa è la storia di alcuni piccoli semi colorati, due donne tenaci e un barattolo di vetro.
Umbria, Civita di Cascia 1998: Silvana e Geltrude mentre riordinano la cantina della casa ricostruita dopo il terremoto del ’79, trovano un polveroso barattolo di vetro pieno di semi colorati. Sono rossi, verdi, marroni e neri, insieme a un foglietto sbiadito dal tempo con scritto a matita un nome misterioso: ”roveja”. Dimenticati dal suocero ormai scomparso, nonna Lucia, visti i semi del barattolo, esclamo’: ”Questa è la roveja, è tanto buona ma ti spezza la schiena!” Silvana e Geltrude decidono di seminare la roveja che, dopo pochi mesi, giunge a maturazione. La pianta è alta circa 1 metro e quando i baccelli si riempiono di semi il peso la fa appoggiare a terra dove bisogna faticosamente sradicarla a mano. Una volta seccata sul campo, si mette la pianta su un telo e si batte con dei bastoni fino a separare a mano il seme dal baccello. Totale della produzione nel 1998: 4 chilogrammi. A questo punto Silvana e Geltrude dopo il primo raccolto decidono di scoprire i segreti di quei piccoli semi colorati; iniziano i contatti con gli anziani della regione e la Facoltà di Agraria di Perugia per ricostruire la storia culturale e colturale del prodotto.
Nei secoli passati questo legume era coltivato su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui monti Sibillini, dove i campi si trovavano anche a quote elevate. Questo tipo di pisello, oltre a essere coltivato cresce tuttora in modo spontaneo nei prati e lungo le scarpate. Il declino della roveja era iniziato nella seconda metà del XX secolo, con la maggiore redditività di altre colture e l’introduzione dei mezzi meccanici nell’agricoltura. La sua origine non è ancora chiaramente definita: molto probabilmente proviene dal Medio Oriente. In Europa questa specie conosciuta fin dalla preistoria ha rappresentato, insieme a lenticchia, orzo e farro, la base dell’alimentazione umana nel neolitico. Sia i Greci che i Romani lo consideravano un legume prelibato. In Umbria, anno dopo anno la produzione è aumentata e i piccoli sacchetti di roveja, di fiera in fiera hanno incontrato l’interesse di Slow Food, l’associazione internazionale che promuove il recupero della biodiversità tutelando i piccoli produttori e valorizzando sapori e territori.
Cosi’ nel 2006 la roveja, antico pisello selvatico, considerato quasi erba infestante, diventa presidio protetto da Slow Food. Le due piccole produttrici di Civita di Cascia dopo aver recuperato il seme antico, appassionate del loro lavoro, ne diffondono la conoscenza coinvolgendo altri coltivatori che al momento producono solo piccole quantità per autoconsumo. La valenza nutritiva della roveja è legata alla presenza di proteine, carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. Come legume fresco contiene il 7% di proteine e fornisce circa 75 calorie per 100 grammi di peso netto. Una volta seccata il suo valore nutritivo è più elevato, in quanto la perdita d’acqua porta a una rilevante concentrazione di tutti gli elementi nutritivi: le proteine diventano il 21%, e le calorie circa 300 per ogni 100 grammi di prodotto, grazie all’elevato contenuto di carboidrati che rappresentano il 50% del peso secco. Elevato è anche il contenuto di potassio, di fosforo e anche di vitamina B1. Come per gli altri legumi il potenziale nutritivo di queste proteine, essendo di origine vegetale, non deve essere considerato elevato in quanto sono carenti di aminoacidi solforati. La roveja viene per questo consigliata nelle diete ipolipidiche. Contiene inoltre un elevato contenuto di fibra, sia insolubile come la cellulosa, localizzata nella buccia esterna e capace di regolare le funzioni intestinali, sia solubile che può contribuire alla regolazione dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue. Questo legume è un ottimo ingrediente per le minestre e le zuppe. Con la sua farina macinata a pietra si prepara tradizionalmente un’ottima polenta.