Quando il rumore del vento attraversa questa scultura astratta della natura, nonostante il suo aspetto aggressivo il fico d’india diventa uno strumento musicale dai suoni incredibili.

di Marisa Paolucci

Il fico d’india è originario dell’altopiano del Messico. Gli Atzechi lo chiamavano nopalli e lo consideravano, per le sue origini leggendarie, come il loro simbolo. La tradizione racconta, infatti, che quando gli Atzechi ancora senza patria vagavano nelle lande desolate del Messico settentrionale, sapevano che avrebbero potuto costruire la loro capitale solo quando avessero visto un’aquila appollaiata su un cactus. Ebbene la leggenda vuole che tale evento si sia verificato su un isolotto deserto di un lago e qui fondarono quella che divento’ la loro splendida Tenochtitla il cui nome significa appunto: “Il luogo dove abbondano i frutti del cactus Nopalli che si erge sulla grande pietra”.

Ancora oggi il fico d’india appare sullo stemma della Repubblica Messicana. Sembra che il nome fico d’india sia nato grazie a Cristoforo Colombo che credeva di aver gettato le ancore nelle Indie. Il frutto arriva in Europa con gli spagnoli verso la metà del 1500, proprio a seguito della conquista del nuovo mondo. Inizialmente fu coltivato negli orti e nei giardini dei nobili.

Nelle regioni del nord non andò oltre questi spazi privilegiati riuscendo a superare l’inverno solo in luoghi riparati o all’interno delle serre. Nelle più miti regioni mediterranee, il fico d’india trovo’ condizioni ambientali ottimali: si diffuse velocemente e si naturalizzò al punto da divenire uno degli elementi più comuni del paesaggio. Questa pianta rivoluziono’ tutti i canoni vegetativi conosciuti all’epoca: infatti ha un tronco che non è tale, foglie che non sono foglie, spine che invece sono foglie, ed è praticamente eterno. La sua vocazione è quella di conquistare spazi aridi, la potenza delle sue radici stritola le rocce vulcaniche, per questo diventa frangivento in lunghe muraglie, ma anche guarda-confine dei campi, proprio per le sue spine e per quel suo crescere a segmenti imprevedibili, capaci di occludere lo spazio. Scientificamente appartiene alla famiglia delle Cactacee (Opunzia Ficus Indica) è una pianta a crescita molto rapida che può raggiungere i 3-5 metri di altezza, le cui radici sono generate dalle “foglie” carnose (le pale) che si sovrappongono, dando vita alla caratteristica forma dell’albero senza tronco e senza rami, che contraddistingue questo vero e proprio miracolo della natura.

I fiori sono gialli e vistosi, mentre i frutti dalla forma ovoidale si formano in cima alle foglie e sono ricoperti di spine. La sua caratteristica peculiare è il “cladodio”, cioè la pala, che in realtà è un otre per contenere la preziosa acqua. La parte interna del cladodio a cui è demandata la funzione fotosintetizzante, è costituita da un tessuto che assolve la funzione di immagazzinamento dell’acqua e che determina l’adattabilità del fico d’india a condizioni di estrema siccità Sotto il tessuto vi è una fitta rete, simile a una ragnatela, verde e flessibile finchè la pala serve da riserva d’acqua e da supporto a fiori e frutti; ma che si trasforma in lignea, resistente e rigida quando al cladodio è richiesto di trasformarsi in tronco. La coltivazione del fico d’india è semplice perché attecchisce facilmente e non richiede interventi onerosi. Resistentissimo al caldo e alla siccità si moltiplica usando le pale di circa 2 anni di età che si staccano dalla pianta madre, si espongono in pieno sole per cicatrizzarne i tagli e poi si interrano per i due terzi. In fatto di terreno questa pianta non ha esigenze particolari, si adatta anche a quelli poveri e sassosi. Ancora oggi il fico d’india è coltivato allo stato naturale ed è uno dei pochi frutti sul quale non sono fatti trattamenti chimici. Una particolare tecnica per ottenere frutti grossi e saporiti consiste nell’eliminare dopo la fioritura buona parte dei frutticini allegati, i quali si riformeranno in autunno con caratteristiche qualitative eccezionali. Le principali cultivar prodotte in Italia sono: la gialla (o surfina o nostrale), l’88-90 % degli esemplari; la rossa (o sanguigna) che rappresenta circa il 10 %e la bianca(o muscaredda o sciannarina) che rappresenta il restante 2 % degli impianti specializzati.

La raccolta dei primi frutti è effettuata ad agosto e quella dei tardivi può protrarsi fino a tutto novembre. La raccolta destinata al mercato è eseguita a mano e con le dovute protezioni mentre i frutti vanno manipolati sempre con cura essendo molto sensibili. Nei magazzini di lavorazione essi vengono lavati e despinati prima di essere confezionati. Il processo di despinatura, necessario per presentare sui mercati i frutti in modo che risultino maneggiabili dai consumatori, si effettua oggi con apposite macchine che attraverso spazzolatura e aspirazione privano il frutto delle spine.

Il fico d’india per sua natura “biologico”, non conosce parassiti, contiene calcio e fosforo e una quantità non eccessiva di zuccheri. I suoi fiori in infuso sono ottimi come diuretico e contro i bruciori di stomaco. Il frutto viene generalmente consumato allo stato fresco, opportunamente sbucciato. La polpa è succosa e contiene numerosissimi semi legnosi.
Questo frutto ha un effetto depurativo sull’organismo umano: facilita la diuresi e l’espulsione dei calcoli renali ed evita l’affaticamento renale ed epatico in soggetti che hanno un sovraccarico metabolico. A livello locale, a seconda delle tradizioni regionali, sono numerose le elaborazioni gastronomiche che si possono ottenere con la polpa del fico d’india, oltre alla classica marmellata e al gelato. Si può produrre un “estratto”, consistente in un liquido sciropposo, i “mostaccioli”, ottenuti dal succo ristretto per ebollizione cui si aggiungono farina di semola e aromi, la “mostarda”, preparata in modo analogo ma addizionata di succo d’uva eche può essere conservata anche attraverso canditi.