Cous cous: semola della pace mediterranea
Ogni anno si svolge in Sicilia un Festival dedicato al piatto più antico che la Bibbia ricordi, multietnico e comune a tutto il Mediterraneo
di Marisa Paolucci
L’unione di più granelli di semola fanno il cous cous, l’unione di più uomini di pace fanno popoli di pacè’. Questa bella frase di Enzo Battaglia sembra indicarci la caratteristica principale di questo piatto: la sua multietnicità. Il cous cous è un piatto cucinato dai tempi dei Cartaginesi, accomunando culinariamente popoli ed etnie molto diverse e spesso in contrasto tra loro come, a esempio, Israeliani e Palestinesi. Molto si dibatte di quale sia la patria del cous cous: forse la regione del Maghreb, nell’Africa Occidentale, forse la Tunisia. La ricetta tipica prevede che la semola di grano duro venga cotta a vapore e servita con un brodo di verdure di stagione, legumi, aromi e spezie, o anche a base di carne o pesce. Un piatto con tali caratteristiche approda in Italia nella regione più cosmopolita: la Sicilia. Nel trapanese da sempre il cous cous è considerato uno dei piatti della tradizione e a San Vito Lo Capo si svolge a fine settembre il Cous Cous Fest, una rassegna internazionale di cultura ed enogastronomia del Mediterraneo (www. couscousfest.it). Per la ricchezza di valori simbolici e di cultura il cous cous è considerato ”la graine de la paix”, la semola della pace, capace di testimoniare culture e tradizioni senza annullare le diversità dei popoli. Annualmente i migliori cuochi del Mediterraneo partecipano alla sfida cucinandolo secondo la propria tradizione gastronomica. La gara inizia con gli chef insieme sul palco che mettono insieme le loro mani in una enorme ciotola con la semola e la mischiano, annullando con lo stesso movimento tutte le differenze. Mentre i cuochi cucinano, le strade di San Vito Lo Capo per cinque giorni si trasformano in laboratori del gusto, con specialità culinarie pronte per essere gustate. Profumi, aromi, sapori tradizionali e sperimentazioni inebriano l’olfatto dei numerosi visitatori coinvolti dalla gastronomia, dalla cultura e dalla musica del Mediterraneo. Come è arrivato il cous cous a San Vito Lo Capo? – si chiede Enzo Battaglia, siciliano doc, grande esperto di cous cous se è vero che l’hanno portato gli arabi perché è diventato un piatto tipico solo nella parte occidentale e non in tutta la Sicilia? E se fosse invece un’acquisizione culturale, dei nostri marinai che in sette ore di vela raggiungevano la Tunisia e portavano il cous cous a San Vito? Lo spirito con cui San Vito Lo Capo accoglie i suoi ospiti è l’armonia che rende particolarmente emozionante vedere cuochi israeliani e palestinesi insiemè’. Israele presenta un cous cous di pesce realizzato con il burghul di farro, lavorato con olio, spezie, cedro del Libano e manna siciliana. Sono gli ingredienti citati nella Bibbia da cui sono partiti gli chef Moshè Basson e Eyal Lavy, rielaborati con l’obiettivo che possano rappresentare la sintesi di tutti i paesi del Mediterraneo, indipendentemente dai rapporti politici esistenti tra loro. Nel loro cous cous è presente il pepe del Marocco, i tartufi bianchi italiani, le fave dell’Egitto e il pesto di coriandolo mediorientale. Per i cuochi israeliani, infatti, il cous cous non è la somma degli ingredienti ma la capacità di farli legare insieme, metafora di una importante attività di cooperazione internazionale che Moshè e Eyal svolgono per l’Associazione Chefs for Peace, un progetto che unisce 25 cuochi arabi e israeliani, di religione ebrea, musulmana e cristiana, con l’obiettivo di promuovere il dialogo attraverso il linguaggio del cibo. Anche i cuochi palestinesi, sensibili al tema della pace, presentano il loro cous cous, il maftoul (il nome deriva dalla tecnica usata per prepararlo) di pesce con burghoul di grano, preparato tradizionalmente nelle case dalle donne, ma decorato con una piccola colomba di zucchero e un ramo d’olivo. Un piatto dal grande valore simbolico che è anche un messaggio di pace. Gli ingredienti base: cardamomo tostato e reso in polvere, citronella, cannella, chiodi di garofano, limone, mandorle. ”Abbiamo deciso di prepararlo all’antica maniera palestinese – spiega Augustine Shomai Vizcaino – ma vi abbiamo aggiunto un tocco moderno ricercando l’equilibrio dei sapori di verdure, pesce e salsa, per sentire insieme il profumo del mare mischiato ai sapori della terra. Veniamo da un paese con grandi conflitti e proviamo a tradurre, cucinando, la nostra idea e il desiderio di pace per la Palestina. Per questo abbiamo messo nel nostro piatto la colomba e l’olivo. Siamo buoni amici con i cuochi israeliani, facciamo parte dell’associazione Chefs for Peace e insieme dobbiamo trovare la strada per poter convivere. Speriamo che gli uomini politici riescano a fare lo stesso”. A ogni paese le sue tradizioni: il Senegal propone un cous cous di miglio con pollo e salsa, con burro di arachidi e molto speziato, dal gusto intrigante. La Tunisia invece un cous cous con piselli, gamberoni, cernia e molte spezie: cumino, coriandolo, pepe, harissa per aggiungere una nota piccante, e una salsa a base di peperoncino che da’ un gusto molto più deciso. L’Italia presenta un cous cous siciliano doc preparato dai cuochi di San Vito Lo Capo: semola di grano con crudo di ricciola e filetto di pesce in crosta con pastella di farina di ceci, con pepe, cannella e spezie del Mediterraneo per un gusto estremamente raffinato. Dalla Francia un cous cous di pollo, secondo una rara ricetta medievale preparata con la mollica di pane lavorata come la semola, alla quale vengono aggiunti i pistacchi di Bronte, i cedri siciliani, la menta secca della Turchia e l’uvetta passa: un cous cous dal sapore forte e deciso. La cuoca marocchina ha invece proposto un cous cous di carne mista di agnello e vitello, con un contorno di sette verdure e poi zafferano, zenzero e pepe nero. In Marocco come in Tunisia il cous cous è il piatto del venerdì, del Ramadan e delle occasioni importanti e viene servito con una serie di contorni che variano con le stagioni. In Costa d’Avorio, infine, il cous cous si realizza con semola di manioca grattugiata e lasciata fermentare, l’attiekè che – rispetto al cous cous di semola di grano – ha un sapore più forte e una maggiore consistenza, con spezzatino di vitello, peperoncini piccanti, carote e zucchine in un brodo di carne. Si tratta di un piatto indispensabile nella cucina ivoriana: considerata una pietanza povera, viene mangiato tutti i giorni e può essere comprato anche per strada, ma a San Vito Lo Capo ha vinto il premio per il ”miglior cous cous 2008” in quanto ”trasmette l’immagine di un piatto autenticamente popolare con un’esecuzione tradizionale ben equilibrata sotto ogni aspetto”. A decidere, oltre la giuria internazionale, sono stati i circa 150mila visitatori che durante i cinque giorni della manifestazione hanno consumato oltre 4 tonnellate di semola di grano duro e mille litri di olio extravergine di oliva, sentendosi così veri cittadini del mediterraneo.
Cous cous: Dalla cucina ai centri benessere
Il cous cous è considerato il re dei piatti unici, una porzione di 150 grammi di cous cous di carne è una pietanza sostanziosa con un apporto calorico di circa 360 Kcal. Inoltre per i nutrizionisti la granella di frumento duro di cui è composto il cous cous, grazie all’elevato apporto di fibre ha un effetto stimolante per l’intestino. La semola offre anche un uso inaspettato, uno scrub delicato ed efficace: basta mischiare 3 o 4 cucchiai di semola di grano duro con 2 cucchiai di yogurt bianco intero fino ad avere una crema compatta. Subito prima di fare il bagno o la doccia, bagnare la pelle e massaggiare tutto il corpo con lo scrub appena preparato insistendo sulle zone ruvide come gomiti, ginocchia e talloni. L’effetto levigante ed emolliente è garantito e la pelle è pulita in profondita’, basta sciacquare con acqua tiepida. Lo scrub va fatto non più di una volta a settimana ed è ottimo anche sulla pelle del viso.