Il rischio BSE ha riportato all’attenzione il ruolo della catena alimentare nella diffusione delle infezioni, ma soprattutto una condizione poco nota: la malattia di Creutzfeld-Jakob
Eravamo già abituati all’idea che il cibo non è solo fonte di piacere ma anche causa di una serie di patologie tipiche delle società opulente. Nessun dubbio esiste più sul rapporto fra alcuni particolari alimenti e l’elevata frequenza di obesita’, arteriosclerosi, malattie cardiache e circolatorie. Allo stesso tempo è ormai categorico il requisito ovvio e fondamentale dell’igiene all’interno della cosiddetta catena alimentare che va dal produttore fino alla tavola del consumatore finale.
Ciononostante il rischio di una contaminazione chimica o microbiologica è considerato sempre possibile e ai tanti protagonisti viene richiesto di usare la massima accortezza e correttezza per garantire la salubrita’ dei cibi. La raccomandazione vale sia per gli agricoltori che devono attenersi scrupolosamente all’osservanza delle prescrizioni legislative sull’impego di prodotti chimici a carattere anticrittogamico e di concimi, sia per gli ambienti industriali in cui si lavorano e si trasformano gli alimenti. Cio’nonostante con frequenza quasi regolare sui giornali appaiono di volta in volta notizie allarmanti che scatenano paura nei consumatori allontanandoli rapidamente dal consumo dell’alimento incriminato: siano esse le vongole raccolte in acque estremamente inquinate che i polli allevati con i mangimi alla diossina. La recente scoperta di casi di bovini colpiti dal virus della BSE ha messo sotto accusa le farine animali e gli allevatori che già nel passato avevano ricevuto critiche per l’uso massiccio di antibiotici e sostanze ormonali capaci di favorire la crescita rapida degli animali da allevamento ma anche di condizionare la crescita e lo sviluppo dei consumatori più giovani.
Questa volta pero’ l’accusa è molto più drammatica e ha portato alla decisione di abbattere migliaia di capi di bestiame e bandire dalle nostre tavole le carni con l’osso, il cervello e le interiora dei bovini, possibili serbatoi dei prioni, proteine capaci di scatenare il morbo della mucca pazza. La ragione di una siffatta misura preventiva sta nel fatto che la scienza ha definitivamente accertato la possibilità di un contagio umano che si manifesta con una condizione clinica molto simile alla Malattia di Creutzfeldt- Jakob. Una particolare forma di demenza che insieme al Kuru e alla Sindrome di Gerstmann-Straussler-Scheinker, costituiscono le cosiddette “malattie da prioni”. Creutzfedt e Jakob erano due neurologi tedeschi che agli inizi del 1920 identificarono e descrissero sei pazienti affetti da una particolare condizione neurologica.
Sebbene i loro sintomi clinici fossero diversi, dopo la morte, all’osservazione al microscopio i loro cervelli apparivano molto simili, con una imponente perdita di neuroni rimpiazzati da tessuto fibroso e un aspetto spugnoso della massa cerebrale. Da ciò il nome spongiforme con cui è conosciuta questa encefalopatia. Nei decenni successivi casi analoghi vennero riportati in tutto il mondo e la malattia prese il nome dei due scopritori. Si calcola che la sua incidenza annuale sia di un nuovo caso ogni 2 milioni di nuovi nati e è rara una trasmissione familiare. L’età d’insorgenza è intorno ai 55 anni e fino a qualche tempo fa appariva inusuale una presentazione in soggetti con meno di 40 e più di 80 anni. A marzo del 1996, pero’ i ricercatori nè identificarono una nuova forma e registrarono che l’età media era scesa intorno ai 28 anni. Oltre la BSE, altre forme di encefalopatie spongiformi sono la scrapie, che colpisce le pecore e il kuru, una malattia che colpiva i Fore, un popolo aborigeno che vive in Nuova Guinea e era dedito al cannibalismo nel corso dei funerali.
La sintomatologia del morbo di Creutzfeld-Jakob
E’ difficile determinare l’inizio della sintomatologia clinica. Si comincia con minimi vuoti di memoria, qualche cambiamento d’umore, perdita d’interesse e isolamento. Diminuiscono le capacità di concentrazione e di svolgere attivita’ via via più semplice, e la malattia può essere scambiata per una lieve forma depressiva. In alcune settimane, pero’, si evidenzia una difficoltà a camminare: il paziente tende da una parte; la vista si abbassa e possono comparire allucinazioni, la parola si fa difficoltosa e la conversazione diviene sempre più limitata.
Il peggioramento è molto rapido, fino alla quasi totale perdita di autonomia e nell’arco di circa 6 mesi si arriva all’exitus che si verifica principalmente a causa di una polmonite
Solo nel 10% dei casi la malattia dura più a lungo, fino ai 5 anni, e in questi soggetti il sintomo più evidente è una progressiva perdita di memoria. Allo stato attuale non si conosce alcuna cura in grado di rallentare o interrompere la malattia. I test comunemente usati sono la Tomografia Assiale Computerizzata che, pur non mettendo in evidenza la struttura spongiforme del cervello, può servire a eliminare eventuali altre possibili diagnosi; l’elettroencefalogramma, in grado di evidenziare una particolare onda elettrica tipica della malattia, e la puntura lombare con cui si può esclude la presenza di una eventuale infezione che potrebbe essere facilmente curata. Sfortunatamente la certezza della diagnosi si può ottenere solo al tavolo autoptico dopo la morte del paziente, e ancora servono 2 – 3 mesi per poter effettuare tutti i tests necessari.