Accademia e industria appassionatamente

di Giorgio Bartolomucci

Abbiamo posto alcune domande a Mitchell Brin, professore di neurologia presso l’Università della California e Senior V.P.  della Allergan

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Nella cultura anglosassone non crea alcuna sorpresa che uno scienziato che lavora o insegna in una Università possa accettare di collaborare o anche diventare dirigente di una Azienda farmaceutica. La separazione fra i due mondi, infatti, non è così netta e molte delle ricerche di base, per esempio, si svolgono in stretta collaborazione all’interno dei laboratori universitari e industriali. A fondamento di questo paradigma c’è un pragmatismo che non necessita di ipocrisie: le istituzioni pubbliche e private che fanno ricerca hanno bisogno di soldi e le aziende hanno necessità di svolgere all’esterno una serie di studi per cui non sono attrezzati e mancano di competenze. “È così che si lavora negli Stati Uniti e i nostri standard etici rimangono sempre molto alti – ci dice Mitchell Brin, Professore di Neurologia presso l’Università della California e allo stesso tempo Senior Vice President della Allergan. “Quando nel 2001 l’azienda mi contattò – spiega durante una intervista che gli abbiamo fatto a Milano – avevo già una ventina di anni di esperienza clinica e di studi nel campo della farmacologia sperimentale, in particolare nell’uso delle neurotossine. Mi ero anche interessato al botulino perché lo stavo provando nelle forme di spasticità muscolare proprie della Distonia. Avevo insegnato alla Columbia University e mi ero poi trasferito alla Mount Sinai Medical School di New York e partecipavo spesso a studi clinici sostenuti da finanziamenti pubblici e privati e della Food and Drug Administration. La richiesta di lavorare con la Allergan non mi sorprese, quindi, e da allora ho contribuito alla sviluppo clinico sia del Botox® in ambito della neurologia e della oftalmologia che del Vistabex® nell’estetica medica”. L’ottimo lavoro svolto ha portato al Prof.

Brin prima una promozione a Senior Vice President, responsabile del loro processo di Registrazione a livello Globale, e dal 2007 è a capo dello Sviluppo di nuovi farmaci e Chief Scientific Officer per il Botox®. Continua però a insegnare Neurologia alla University of California, di Irvine, dove visita e tratta regolarmente pazienti. “Spesso ci si riferisce al botulino come neuromodulatore, un termine migliore di tossina, in quanto la molecola agisce sul muscolo bloccando temporaneamente gli impulsi nervosi indesiderati che provocano contrazioni muscolari o attività ghiandolare eccessive, ma senza danneggiare il muscolo stesso. Botox® è il nome commerciale della tossina botulinica di tipo A ed è un marchio registrato di proprietà della Allergan. Come è noto, si tratta di una proteina purificata derivata dal batterio anaerobico Clostridium botulinum, che si trova solitamente nel suolo o nel cibo mal conservato. Per distinguere nettamente tra utilizzo terapeutico e utilizzo a fini estetici del prodotto, quello per uso cosmetico viene commercializzato in Italia con il nome commerciale di Vistabex® Entrambe sono sono specialità medicinali che contengono in un flaconcino una quantità infinitesimale (circa 4 milardesimi di grammo) di tossina botulinica di tipo A altamente purificata e vengono somministrate a dosi terapeutiche, differenti in funzione dell’indicazione, nelle aree da trattare dove agiscono bloccando il rilascio periferico di acetilcolina a livello delle terminazioni nervose colinergiche pre-sinaptiche e producendo un blocco localizzato e reversibile delle attività del muscolo nel quale sono iniettate”.  Sul mercato ci sono diverse formulazioni a base di tossina botulinica: sono tutte uguali e intercambiabili fra loro? “La tossina botulinica di tipo A e altri sette sierotipi di tossina botulinica – risponde  Mitchell Brin – sono prodotti biologici derivati da differenti ceppi del batterio Clostridium botulinum.

Fondamentalmente, tutti interferiscono allo stesso modo con il rilascio di acetilcolina ma lo fanno in gradazione diversa, perché ciascun tipo si lega a punti differenti del nervo motorio e ha come bersaglio proteine differenti per bloccare il rilascio del neurotrasmettitore. Anche fra le tossine botuliniche dello stesso sierotipo, piccole variazioni nel processo di produzione possono portare a differenze nella formulazione (es. uniformità molecolare e peso dei complessi della tossina), nella farmacocinetica e dei parametri clinici quali efficacia, durata dell’effetto, profilo di sicurezza e immunogenicità”. Le differenze fra i sierotipi di tossina possono influenzare gli effetti terapeutici e la loro durata, o il presentarsi di eventi avversi a seguito del trattamento? “Certo – risponde il Professore – per esempio, la durata dell’effetto terapeutico della tossina botulinica di tipo A è la più prolungata dei sette tipi di tossina botulinica esistenti. Le differenze fra i sottotipi possono influire anche sul loro potenziale di immunogenicità che rende inefficace il trattamento, e le dimensioni e le strutture molecolari delle varie tossine botuliniche in commercio possono influire sulla capacità di diffondere all’interno del tessuto muscolare. La struttura influisce anche sulla stabilità molecolare: proteine addizionali circondano la molecola di tossina botulinica e aiutano a stabilizzare il nucleo della neurotossina proteggendolo da stress termico e dal pH, garantendone la potenza clinica. Tale stabilità protegge il nucleo della neurotossina anche dalla degradazione”. In sintesi, lei ci dice che non esistono tossine botuliniche tra loro identiche e intercambiabili e che nel trattamento dei pazienti, una tossina botulinica non può essere usata al posto di un’altra allo stesso dosaggio per ottenere lo stesso livello di sicurezza e di efficacia? “È proprio così. A tal proposito, l’FDA negli Stati Uniti ha emanato un avviso di sicurezza ad agosto del 2009 per gli operatori sanitari, al fine di sottolineare che i prodotti a base di tossina botulinica sono diversi e non intercambiabili e che le unità di potenza sono specifiche”. Quali le novità nello sviluppo della vostra tossina? “Attraverso tecniche ricombinanti stiamo puntando a un prodotto ad azione antidolorifica il cui target siano i neuroni sensoriali e non più quelli motori”.