La Target Therapy per il Melanoma

Giorgidella Dr.ssa Laura Giorgi, Medico Chirurgo, Firenze

Un approfondimento tecnico su quelle che sono le nuove terapie nella lotta contro il melanoma metastatico: dalle sostanze utilizzate

 alla loro efficacia

Il melanoma è una neoplasia maligna della cute e delle mucose che origina dai melanociti e che può insorgere su cute sana o su un nevo preesistente. A tutt’oggi esso rappresenta la neoplasia cutanea a maggior grado di malignità, tuttavia la prognosi dei pazienti affetti da questa patologia è ottima se la  diagnosi e il trattamento sono effettuati in uno stadio iniziale di malattia. La diagnosi precoce del melanoma cutaneo è di fondamentale importanza nel determinare un aumento della sopravvivenza dei pazienti affetti da questa patologia (1). L’escissione chirurgica rappresenta il trattamento di scelta per il melanoma cutaneo. Per questo motivo il miglioramento del tasso di sopravvivenza a 5 anni viene attribuito essenzialmente ad una più precoce individuazione della lesione (2).

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Fino a poco tempo fa l’unico trattamento di tipo chirurgico o medico per il melanoma metastatico al IV stadio AJCC aveva finalità palliativa. La Dacarbazina è stato il primo farmaco chemioterapico approvato per il trattamento del melanoma con una percentuale di risposta che varia dal 5 al 22% comunque di breve durata. Un altro tipo di terapia usato è l’immunoterapia con Interferone che ha effetto antiproliferativo e immunomodulatore ed ha risposte nel 5-13% dei casi. A scapito di ciò gli effetti avversi di questa terapia sono la sindrome similinfluenzale, febbre, ipotensione, oliguria, edema e neutropenia (3). I nuovi studi invece si stanno concentrando sulla target therapy che è una terapia mirata a bersaglio molecolare che consente un trattamento specifico e selettivo della neoplasia. Le mutazioni del gene BRAF sono le più frequenti trovandosi in circa il 50% dei pazienti affetti da melanoma (4).
560px-BRAF_Kinase_InactiveIl Vemurafenib è un inibitore specifico per la proteina mutata BRAF V600E che determina un segnale di proliferazione sempre attivo (5). Il Vemurafemib ha dimostrato risposte nel melanoma avanzato del 50-80% anche se di durata di 6-7 mesi (6,7). La sopravvivenza libera da progressione della malattia con l’uso del Vemurafenib è maggiore che con l’ utilizzo di Dacarbazina con una sopravvivenza dell’ 84% con il Vemurafenib e del 64% con la Dacarbazina. Gli effetti avversi riscontrati col Vemurafenib sono: artralgie, rash, fotosensibilità, astenia, alopecia, prurito, carcinoma squamocellulare e cheratoacantoma (8). Gli inibitori di MEK sono efficaci su due linee mutate in BRAF e in NRAS; quest’ ultimo è associato a melanomi con decorso clinico più aggressivo (9). Gli studi fino ad adesso effettuati non hanno mostrato dati ancora certi ma è attualmente in studio l’associazione con gli inibitori di BRAF che parrebbero avere effetti additivi o sinergici evitando inoltre la possibile induzione di carcinomi a cellule squamose e cheratoacantomi. L’Imatinib e il Nilotinib sono inibitori del gene c-KIT che si trova mutato nei melanomi delle mucose e nei melanomi acrolentigginosi. Uno studio ha mostrato prolungamento della sopravvivenza libera da progressione della malattia con l’utilizzo di Imatinib (10). Molto probabilmente sono diversi i pathway che vengono ad essere interessati dalle mutazioni nelle cellule del melanoma determinandone le diverse caratteristiche, perciò le combinazioni di diversi farmaci saranno il futuro della terapia del melanoma (11). La combinazione di inibitori di BRAF e di MEK rappresenta l’inizio di questo tipo di strategia. Sono già in studio anche inibitori di ERK, PI3K e AKT, altri geni mutati, che permetteranno forse di superare i meccanismi di resistenza e potenziare l’ efficacia degli agenti target. Rimane di fondamentale importanza la prevenzione sia dai fattori di rischio per il melanoma, che come diagnosi precoce, ma si stanno aprendo nuove speranze per i pazienti con melanomi diagnosticati in fase avanzata.

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