di Paolo Ordine
Spesso chi si rivolge al medico e al chirurgo estetico lo fa non solo per migliorare il proprio aspetto esteriore ma per tentare di curare cicatrici che non si possono vedere
Gli antichi lo affermavano sin dagli albori della medicina: la salute passa per una consapevole accettazione del sé. Non per niente greci, latini e persiani ritenevano necessario che chi studiasse l’arte del guarire imparasse anche il funzionamento della psiche, oltre ad avere una conoscienza approfondita della filosofia. Un concetto che negli ultimi anni è stato più volte ribadito in seno ai maggiori congressi di medicina del mondo oltre che dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un obiettivo, quello di favorire e generare uno stato di benessere psicofisico nel paziente, cui il professionista dovrebbe sempre aspirare.
Soprattutto il medico estetico a cui, in molti casi, si rivolgono persone che incosciamente cercano, migliorando il loro aspetto fisico, di guarire ferite e cicatrici più profonde di quelle che non possono vedersi “a pelle”, che hanno sede nell’anima.
Per arrivare a sfiorare questi sintomi del malessere e rimuoverli, però, occorre pazienza, tenacia, sensibilità: doti che non sempre possono apprendersi in un’aula universitaria poiché vanno sviluppate e coltivate con l’esperienza quotidiana. Sapere ascoltare oltre che le parole, le esigenze e le motivazioni che realmente vi si nascondono dietro deve essere il punto di partenza del rapporto tra medico e paziente, mentre l’eventuale intervento di miglioramento estetico, è la fine di un percorso intrapreso insieme.
Solo così non vi saranno ripensamenti, perché se la scelta nasce dalla serenità di una piena consapevolezza dei propri limiti e difetti allora si tradurrà anche in un’accettazione completa ed entusiasta della correzione. Per chi volesse approfondire l’argomento, parte di questo percorso, è diventato un libro dal titolo “Sul lettino del medico estetico”, scritto dalla Dottoressa Maria Malucelli, specialista e docente di psicologia clinica. Una lettura che fa riflettere e illustra in maniera chiara, la corretta metodica di un colloquio tra il professionista e il suo paziente, offrendo anche alcuni trucchi per aumentare la possibilità che quest’ultimo si apra fino in fondo facendo emergere i perché che stanno alla base della decisione di intervenire sugli inestetismi, reali o presunti, del suo corpo. Tra le altre cose, l’autrice fornisce anche una serie di test psicologici sottoforma di questionari che sarebbe indicato far compilare al paziente per tentare di superare le normali barriere di riservatezza che sembrano sempre emergere in simili contesti. Un passo fondamentale perché, è importante ribadirlo, è vero che il corpo può essere modificato, ma se la volontà di farlo nasce da esigenze sbagliate, non vi sarà soddisfazione dinanzi al risultato con conseguenze psicologiche anche gravi. Basti pensare che similmente a quello che accade con il cibo nella bulimia, anche l’intervento estetico può divenire un succedaneo della felicità se generato da un vuoto emozionale, dando vita a preoccupanti abusi.